13.0 Sicurezza sul lavoro - Ergonomia
13.0 SICUREZZA SUL LAVORO - ERGONOMIA, SECURITE AU TRAVAIL ET ERGONOMIE - SAFETY AT WORK AND ERGONOMICS
Questa Sezione è stata da me modificata il 1° giugno 2015. L'ho rinominata Sicurezza sul lavoro e Ergonomia ed ho aggiunto alla fine il pregevole lavoro che fu fatto da mio figlio Luigi nel 1993, quando discusse la sua tesi di laurea in Scienze Applicate ,indirizzo informatico, intitolata "La Qualità come filosofia del lavoro.Interazione con l'Ergonomia e prospettive future", in francese "La Qualité comme philosophie du travail. Interaction avec l'Eronomie er perspective futures", che ottenne il plauso della Commissione con la valutazione "La Plus Grande Distinction" che, per l Belgio, rappresenta il nostro 110/110 e lode. L'anno seguente,1994,la tesi fu pubblicata negli USA, precisamente dalla TIU Press, The International University Foundation, di Independence,Missouri, con numero di ISBN 0-89697-452-9.
In seguito è stata richiamata nella Bibliografia di diverse voci enciclopediche di Wikipedia: Ergonomia (italiana), Ergonomie (tedesca), Human Factors and Ergonomics (angloamericana), Toyota Production System (angloamericana), Ergonomia (spagnola). Infine, fu citata nella Bibliografia del programma della disciplina di Ergonomia-Diseño de puestos de Trabajo della Facultad de Ingenieria industrial de la Escuela Colombiana de Ingenieria "Julio Garavito" di Bogotà in Colombia. Questa bibliografia consta di 9 titoli, di cui 8 in lingua spagnola. L'unico titolo, estraneo alla lingua spagnola, è quello della tesi di Luigi (in italiano e francese). Trattasi di un riconoscimento di cui bisogna andare orgogliosi.
Pertanto, ho ritenuto di aggiungere alla fine di questa Sezione alcune parti significative della tesi,molto originale e pioniertistica, giacchè nel 1993 trattava concetti di Total Quality e di Ergonomia sconosciuti a molti addetti ai lavori in Italia(come anche i termini giapponesi Kanban, Kaizen, per esempio), tant'è vero che in un famoso Centro Stile automobilistico, in cui mio figlio fu convocato per un colloquio, gli trattennero una copia della tesi per 15 giorni e poi, all'atto della restituzione, ci accorgemmo che l'avevano fotocopiata. Che vergona! Avrebbero potuto chiedere l'autorizzazione e gli sarebbe stata concessa.
- Melius praevenire quam curare (B.Ramazzini, De morbis artificum diatriba, Modena, 1700);
- I mutilati del lavoro sono rispettabili quanto quelli della guerra (L.A. de Saint-Just, a margine delle discussioni per la redazione della Costituzione
francese del 1793).
Questa è la copertina della prima edizione del 1700 dell'opera del Ramazzini
Rassegna storica del Risorgimento,1936,p.537,citazione di Saint-Just
Questi sono i due capisaldi,storico e giuridico, ai quali dovrebbero fare riferimento tutte le Costituzioni dei paesi civili, i loro codici e le loro leggi.
Mi sento in dovere di aggiungere oggi, 18 dicembre 2015, rivedendo questo mio lavoro, il testo di un telegramma del 1937, scovato da un mio familiare:
"Comunichi al senatore Agnelli che nei nuovi stabilimenti Fiat devono esserci comodi e decorosi refettori per gli operai. Gli dica che l’operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina, non è di questo tempo fascista. Aggiunga che l’uomo non è una macchina adibita ad un’altra macchina".
Trattasi di un telegramma al Prefetto di Torino, inviato il 16 luglio 1937 dal Capo del governo, Benito Mussolini.
Queste parole inducono a riflettere, senza scadere nella polemica politica.
Ho riservato questa Sezione del sito al mio primo amore, la Sicurezza sul lavoro. Infatti, come dipendente dell'INAIL, attento al doloroso fenomeno infortunistico del lavoro, mi interessai subito,sia per motivi professionali sia per motivi di studio, a tutte le problematiche legate a questo triste fenomeno.
Nell'ambito della legislazione sociale, l'infortunistica rappresenta, purtroppo, la materia più interessante e appassionante, tanto è vero che sull'argomento sono stati scritti migliaia di libri, organizzati migliaia di congressi scientifici, convegni di studio, tavole rotonde ,più di qualsiasi altro argomento, e non solo in Italia, ma nell'intero mondo industrializzato.
Il mio primo approccio fu professionale.Cominciai lo studio del Testo Unico (T.U.) N.1124 del 30 giugno 1965 per poterni preparare adeguatamente ai concorsi che dovetti affrontare nell'ambito INAIL per progredire professionalmente.Il T.U.era la legge in vigore e la base giuridica, in Italia, di tutta la materia infortunistica.
Le prime leggi sulla sicurezza dei luoghi di lavoro furono introdotte in Italia nel 1942 nel codice civile. In seguito, per la sicurezza sul lavoro, al T.U. della legge infortuni furono affiancati i Regolamenti del 1955-56 (il DPR 547 del 27 aprile 1995; il DPR 164 del 7 gennaio 1956, e i DPR 302 e 303 del 19 marzo 1956).
Con l'avvvento dei socialisti al governo fu emanato lo Statuto dei lavoratori (legge n.300 del 20 maggio 1970), che all'art.9 conferiva ai lavoratori, mediante loro rappresentanze, il diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali,e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute in fabbrica.
Si dovrà poi attendere il 1994,con il DPR 626,per recepire in Italia, le Direttive Europee in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, coordinandole in un unico testo normativo e inasprendo le sanzioni già previste a carico degli inadempienti.
Attualmente la materia è regolamentata dal D. Lgs. 81/2008 (conosciuto come Testo Unico Sicurezza Lavoro, entrato in vigore, per la quasi totalità degli articoli, il 15 maggio 2008).
Poichè io mi sono occupato del problema infortunistico,della sua prevenzione e della sicurezza dell'ambiente di lavoro negli anni '70-80, bisogna tener presente che i miei lavori scientifici fanno riferimento alla materia come era regolamentata dalle leggi in vigore a quell'epoca.
Comunque,il mio interesse scientifico.culturale e professionale per la sicurezza sul lavoro non si limita e riduce alla semplice infortunistica e alla sua prevenzione, ma spazia anche in altri campi contigui e affini, in discipline per essa ausiliarie per poterne corroborare le ricerche e i risultati.
Pertanto,negli anni '70 dedicai la mia attenzine ad alcuni lavori di studiosi e ricercatori francesi,quali:
George Friedmann (1902-77),ingegnere e sociologo francese: Le Travail en miettes, Gallimard, Paris, 1956; Traité de Sociologie du travail (en collaboration avec Pierre Naville),A.Colin,Paris,1961-62,2 tomes;
Jean Marie Faverge (1912-88), Psychosociologie des accidents du travail,PUF,Paris,1967;
Etienne Grandjean (1914-91,Dipartimento di Igiene e Fisiologia applicata dell'Istituto Federale svizzero di Tecnologia), Precis d' ergonomie:organisation physiologique du travail, Presses Académiques Européennes, Bruxelles, 1969.
L'anno precedente Grandjean aveva affermato:""l'Ergonomia è una scienza interdisciplinare; comprende la fisiologia e la psicologia del lavoro, così come l'antropometria e la sociologia dell' uomo al lavoro. Il fine pratico dell'Ergonomia è l'adattamento del posto di lavoro, degli strumenti, delle macchine, degli orari e dell'ambiente alle esigenze dell'uomo. A livello industriale, la realizzazione di questi fini facilita il lavoro e aumenta il rendimento dello sforzo umano".
E potrei continuare,ma consiglio di consultare la nutrita bibliografia in coda alla Sezione 3.1.Thèse de maitrise.Considero questi tre grandi studiosi dei miei Maestri,che mi hanno molto aiutato nella comprensione delle varie sfaccettature della Sicurezza sul lavoro.
Di tutti gli autori francesi studiati, però, chi mi colpì maggiormente fu il Friedmann,perchè con la sua tesi del 1946, Problêmes humains du machinisme industriel egli introdusse il concetto della nuova sociologia del lavoro, sulla scia di studiosi americani di psicologia sociale e delle Human Relations (vedansi a questo proposito le opere citate,sempre nella medesima bibliografia dianzi ricordata).
Il mio primo approccio scientifico a questo problematiche fu con la mia tesi di laurea compilata nel 1976 (cfr.l'apposita Sezione di questo sito,intitolata Thèse de Maitrise),in cui misi a confronto il sistema infortunistico italiano e quello tedesco-federale, anche per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni.La tesi è stata in seguito recensita anche nelle bibliografie di Wiìkipedia in lingua italiana e francese, alle voci che riguardano, appunto, gli infortuni sul lavoro e la sicurwzza del lavoro.
Ricordo ancora l'impegno profuso nel 1977, quando, collaborando con l'ANCoL e il suo Patronato, l'IPAS, partecipai attivamente all'organizzazione di un Convegno di studio sulla sordità da rumore, di cui scrissi l' Introduzione generale agli atti che furono in seguito pubblicati dagli organizzatori e che si posspno consultare presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino. Li riporto in Appendice1 per mostrare al lettore a che punto era allora lo stato dell'arte in questo campo.
Riporto anche qui di seguito il testo dell'articolo scientifico-divulgativo che inviai all' E.N.P.I. - Ente Nazionale Prevenzione Infortuni nel mese di luglio 1978, pubblicato dal periodico Vita di provincia (diretto dall'amico prof.Edmondo Tisanna), per partecipare alla VI edizione del Concorso nazionale Sicurezza nel lavoro, riservato ai giornalisti iscritti all'Albo.Il tema proposto dall' ENPI era il seguente:“La prevenzione dei rischi da lavoro nella realtà sociale ed economica italiana in rapporto alle esperienze comunitarie: linee ed indirizzi di prevenzione” L'articolo fu poi ripreso dalla rivista Proposte sociali, organo ufficiale del Patronato IPAS, che lo ripubblicò nel numero 3-4 del luglio-dicembre 1979, mutilandone il titolo, e che qui di seguito riporto:
(Biblioteca Italo Zamprotta)
A questo articolo la Commissione giudicatrice del Premio giornalistico aveva assegnato il 1° Premio per la Sezione Stampa periodica, come da comunicazione che riporto qui di seguito
comunicazione ricevuta dal Direttore generale dell'ENPI per la premiazione del 4 dicembre 1978 - (Archivio Italo Zamprotta)
Questa affermazione giornalistica, professionale, scientifica fu da me ottenuta con grande sorpresa. Infatti, non avevo alcun aggancio con l'ENPI, quindi non avevo sponsor. Una volta tanto in Italia fu premiato il merito, non il padrinato.
Questo articolo è catalogato, oltre che presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino, anche presso la Biblioteca della Camera dei Deputati a Roma:
L'anno seguente questo mio articolo fu citato nella bibliografia del Repertorio Generale Annuale della Giurisprudenza italiana, poi pubblicato dalla UTET di Torino nel 1981 (Giurisprudenza Italiana è la più antica e prestigiosa rivista giuridica italiana. La Raccolta delle Annate 1990-2010 rende disponibile su DVD l'archivio dei fascicoli della rivista pubblicati dal 1990. La banca dati contiene le note a sentenza e i commenti redatti dai più autorevoli esperti, ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza, articoli su questioni giuridiche di attualità e le più importanti sentenze emanate negli ultimi vent'anni dalle Corti internazionali, dalla Corte costituzionale, dalla Cassazione civile e penale, dal Consiglio di Stato e dalle altre magistrature italiane e le relative massime).
Nel 2011 il prof.Paolo Cendon,insigne giurista ed economista,ordinario di Istituzioni di Diritto privato all'Università di Trieste e autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche, ha segnalato questo lavoro nella bibliografia del Trattato dei nuovi danni,Vol. 4: Danni da inadempimento, responsabilità del professionista, lavoro subordinato ( lui diretto), pp.842,845,848, Cedam Padova.
P. Cendon - 2011 - 1242 pagine
... Cedam, Padova. Zamprotta I., 1978, La prevenzione dei rischi da lavoro nella realtà sociale ed economica italiana in rapporto alle esperienze comunitarie: linee ed indirizzi di prevenzione, in Vita di provincia, Unione Biellese, Biella.
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Copertina del Trattato
p.842 del Trattato
p.845 del Trattato
pag.848 del Trattato
A quell'epoca mi occupavo della Sicurezza del lavoro a diversi livelli:
- professionalmente all'INAIL, dove ero, tra l'altro, codificatore e operatore C.I.D.I.- Centro di Informazione e Documentazione infortunistica;
- all'Università popolare di Biella, dove nei corsi di Scienze della Sicurezza del lavoro e di Ergonomia,insieme col prof.Renzo Brolis, col dott.Giovanni Maggio, e col dott.Giuseppe Mezzina, cercavamo di divulgare i principi fondamentali della sicurezza del lavoro e di educare le maestranze;
- alla Scuola Superiore di Servizio Sociale dell’ANSI di Biella, dove all’epoca insegnavo Legislazione sociale (parte speciale), in cui riuscii a divulgare questi principi presso le future Assistenti sociali. Una di esse diversi anni dopo, incontrandomi, mi comunicò che all’esame di concorso presso l’ASL le era stato richiesto di parlare delle malattie professionali e lei aveva risposto brillantemente grazie proprio alla preparazione acquisita durante le mie lezioni (che erano corredate da apposite dispense da me compilate);
- infine, a livello pubblicistico, con i numerosi articoli da me pubblicati su diverse riviste e giornali, e le comunicazioni scientifiche presentate ad alcuni Convegni nazionali di studio sull’argomento.
In particolare desidero ricordare il C.I.D.I.- Centro di Informazione e Documentazione Infortunistica,al quale fui avviato all'inizio del 1974, in previsione della sua partenza il 2 maggio dello stesso anno. A Torino frequentai un corso, organizzato dall'INAIL, per operatore e codificatore CIDI.
L'anno seguente perfezionai questa preparazione a Roma, presso il Servizio Meccanizzazione della Direzione generale (quello che negli anni '80 sarà poi denominato S.I.I.T. - Servizi Informatici Integrati Territoriali).
Il CIDI fu una grande e brillante innovazione, perchè per la prima volta si realizzò un vero e proprio salto di qualità nella trattazione del fenomeno infortunistico con la prospettiva della sua prevenzione e della sicurezza dell'ambiente di lavoro.
A quell'epoca stavo seguendo, a distanza, il corso di laurea in Scienze economiche e sociali. Chiesi ed ottenni di poter preparare la mia tesi di Maitrise sul CIDI (vedi nella Sezione Tesi).
Che il CIDI fosse un salto di qualità lo capirono anche i Dirigenti e gli Amministratori dell'INAIL, perchè dalla Repubblica Federale Tedesca (allora la Germania era divisa in due) venne a Roma una delegazione che volle accertarsi delle peculiarità di questo nuovo sistema di rilevazione dei dati infortunistici, della loro codificazione ed elaborazione,e dei risultati che si potevano ottenere in seguito in chiave prevenzionale.
Grazie alla famosa e vecchia Rivista degli infortuni e delle malattie professionali (fondata nel 1914), edita dall'INAIL, ebbi la fortuna di conoscere anche l' E.D.V. - Elektroniske Daten Verarbeitung, l'elaborazione elettronica dei dati, in vigore in Germania Federale dal 1971, quindi precedente al CIDI italiano.
In tal modo ebbi la possibilità di approfondire anche il sistema infortunistico e prevenzionale tedesco, e di poterlo comparare con quello italiano, sotto diversi punti di vista: legislativo, tecnico-prevenzionale, organizzativo.
Nacque in tal modo l'idea di procedere alla stesura di una tesi comparata tra il sistema infortunistico italiano e quello tedesco, trattandoli a livello interdisciplinare, cioè di legislazione sociale comparata, prevenzione, sicurezza del lavoro: una vera e propria sociologia infortunistica, iniziativa all' epoca pionieristica. Infatti, nessuno sapeva niente di CIDI e di EDV in Italia, ne ebbi la conferma quando me ne informai presso il corpo docente della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli studi di Torino, dove ovviamente io non potevo avere un accesso diretto perchè non appartenente al mondo accademico. Il Preside di allora, il sociologo prof.Guido Martinotti, mi disse di contattare il prof.Tizio o il prof.Caio per poter tenere qualche seminario, ma non intrapresi questa strada perchè mi sembrava di dover chiedere l'elemosina (altri avrebbero preso la palla al balzo e fatto salti di gioia!). Uomini di scienza veramente avveduti, accorti e previdenti avrebbero, invece, dovuto capire l'importanza di questi studi e sollecitarne la divulgazione in àmbito universitario, ma nel nostro sistema universitario, chiuso e autoreferenziale, entrano solo gli amici degli amici, anche quando non hanno nulla da dire e da dare.
Impiegai quasi un anno per l'elaborazione della mia tesi che dattilografai alla svelta (presi una settimana di congedo!) e la inviai al mio Relatore per correzioni e suggerimenti (vedi la Sezione Tesi, in cui sono ricordati questi fatti).
La sicurezza del lavoro mi appassionò per diversi anni ancora, tanto è vero che nel 1980-81 scrissi anche Recenti risultati della Prevenzione contro gli infortuni sul lavoro nella Comunità Europea, tradotto in francese Récents résultats de la Prévention des accidents du travail dans le domaine de la Communauté Européenne che fu molto apprezzato a livello nazionale ed europeo. Infatti il Direttore regionale INAIL dell'epoca me ne chiese diverse copie e una copia, inviata alla Divisione Sicurezza sociale del Consiglio d'Europa, ricevette anch'essa degli apprezzamenti. Addirittura, grazie a questa iniziativa, il Consiglio d'Europa nel suo Progetto N.9 "Educazione degli adulti e sviluppo comunitario" inserì al punto N.17 l'"Educazione alla sicurezza nell' ambiente di lavoro"!
(In Appendice 2 è possibile consultare l'intero testo, che è catalogato anche dall'OPAC SBN e presente in biblioteca). Per obiettività e onestà storica debbo dire che di questo inserimento sono debitore all'amico prof.Ottavio Ferulano, col quale allora stavamo preparando il terreno per costituire la CNUPI (vedi l'apposita Sezione 7.0), per cui lui teneva contatti col Consiglio d'Europa di Strasburgo, col quale in seguito anch'io ebbi contatti.
In questo lavoro misi a confronto quattro diversi sistemi di sicurezza del lavoro:
quello francese (INRS-Institut National Recherche et Securité),
quello inglese (Metodo Rees),
quello tedesco-federale (Sistema EDV),
quello italiano (Sistema CIDI),
nell'ambito delle Direttive della Comunità Europea e del Diritto sociale europeo che tanto mi aveva intrigato durante il mio corso di studi brussellese. Ricordo ancora il testo base di questa materia: Elementi di diritto sociale europeo, del socialista belga Leon Eli Troclet (che fu Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale e parlamentare europeo), con la collaborazione dell'italiano Vincenzo Guizzi (Giuffrè, Milano,1975). Se penso che un nostro "celebre" parlamentare, laureato in giurisprudenza, in televisione non seppe spiccicare un solo nome nè dei suoi professori nè dei testi su cui aveva studiato all'Università di Milano, dove aveva dato tutti gli esami in soli 31 mesi (sic!) per laurearsi in giurisprudenza, mi viene una gran rabbia, perchè mi convinco sempre di più che il nostro è un paese per furbi trafficanti e incolti.
Questo lavoro, insieme alla tesi di laurea Une iniziative à l’avant-garde dans la Communauté européenne: la réalisation du CIDI.Comparaison avec l’EDV d’Allemagne fédérale, thèse de Maitrise , Ecole Supérieure de Sciences et Lettres, L’Avenir, Bruxelles,1 977, è riportato nella Bibliographie della voce Santé et Sécurité au travail dell'enciclopedia libera Wikipedia in lingua francese.
Di seguito riporto la Bibliographie citata al termine di questa voce enciclopedica:
Non posso tralasciare di parlare delle "Statistiche per la prevenzione", elaborate dall'INAIL, sulla scorta dei dati ottenuti dal CIDI, annualmente dal 1975.
Queste statistiche ebbero due peculiarità: il "Thesaurus infortunistico" e l' "Operazione boomerang ".
- Col "Thesaurus" si realizzava un vocabolario elettronico composto da una parte in chiaro, che descrive alfabeticamente, con una parola o gruppo di parole, l’agente, l’eventuale particolare e la causa; e da una parte in codice, con 16 cifre, la parola o il gruppo di parole, e da un contatore che evidenzia quante volte quella parola è stata segnalata, rispettivamente, come agente, particolare o causa. Il codice di cui sopra è composto da 16 cifre, ognuna delle quali sta ad indicare una particolare caratteristica dell’agente e quindi permette il loro raggruppamento a seconda della caratteristica da evidenziare. Dalla particolare struttura elettronica del ”Thesaurus” infortunistico discende pertanto che non possono essere inseriti come agenti termini generici né parole ambigue. Ciò consente una prevenzione di carattere specifico nell’utilizzazione delle statistiche.Tutti i documenti che vengono accettati in fase di controllo vengono accoppiati nel “Thesaurus” infortunistico in modo che ogni ad ogni agente, particolare o causa venga assegnato un preciso numero di codice, sempre che siano già stati memorizzati nel “Thesaurus” stesso.
-
"Operazione boomerang".Era questa una visione moderna e attuale del fenomeno, che poneva il nostro Paese, e per esso anche l’INAIL che aveva realizzato il Progetto, all’avanguardia in campo europeo rispetto a istituzioni analoghe di altri Paesi, nell’analisi socioeconomica dell’infortunistica. L’osservazione pìù rigorosa del determinismo degli infortuni si concretizza nella trascrizione in chiaro e in codice su un modulo ottico degli elementi costitutivi dell’evento.Questi elementi, incasellati e classificati nel “Thesaurus” infortunistico permettono, di dare corpo e vita a un sistema originale, capace di fornire – in tempo e modi opportuni – tutte le informazioni necessarie a pianificare, a dirigere, a controllare l’attività prevenzionale degli infortuni sul lavoro in maniera razionale e capillare, giacchè i dati non restano un patrimonio inerte, ma diventano vivi, socialmente utili attraverso quella che definiamo “operazione boomerang”. A questo punto entrano in gioco anche le forze attive del lavoro. Infatti, le aziende e i lavoratori saranno messi in grado di conoscere quali sono, al loro interno, le componenti più frequenti del fenomeno infortunistico, e potranno prendere con cognizione di causa gli opportuni provvedimenti prevenzionali. A questo punto diventa quanto mai di attualità il disposto dell’art.9 della legge 300/70, che prevede la corresponsabilizzazione delle forze del lavoro nella politica di prevenzione infortunistica.I datori di lavoro, dal canto loro, saranno messi di fronte a precise responsabilità nel ripetersi, per esempio, di un determinato tipo di incidente.
Purtroppo, toccai con mano che la parte finale di quanto sopra affermato non si sarebbe mai realizzata. Infatti, nel 1977 accompagnai il mio Dirigente pro tempore (dott.Valerio Massara di Novara) nella distribuzione delle "Statistiche per la prevenzione" a chi di dovere: Unione degli industriali, Organizzazioni sindacali, Patronati dei lavoratori, Associazioni di categoria. Fu un grande e inutile sforzo andare in giro, direttamente dagli interessati a consegnare quelle pubblicazioni. Sarebbe stato molto meglio convocarli in sede, in sala riunioni, e spiegare loro a che cosa dovevano servire quelle pubblicazioni. Comunque sia non ci fu nessun seguito, nè a livello locale nè nazionale. Esse divennero patrimonio di una ristretta élite di studiosi e servirono unicamente come dati statistici da inserire nei libri e nelle statistiche annuali dei vari Istituti demoscopici. Che vergogna! (Diversi anni dopo queste "Statistiche" furono proficuamente utilizzate, su mia segnalazione, dall'amico prof.Renzo Brolis per la compilazione del suo pregevole testo di "Educazione alla sicurezza negli ambienti di lavoro" ad uso degli Istituti tecnici e professionali), più volte pubblicato.
Perchè dico "che vergogna?" Pérchè periodicamente, in due ben precise occasioni, si sentono le solite prediche:
- quando c’è un morto sul lavoro
- quando si debbono rinnovare i contratti di lavoro.
In questi casi, improvvisamente,come d’incanto, fioriscono come funghi esperti e moralisti, che amano disquisire di sicurezza sul lavoro, sui suoi costi diretti e indiretti, su dolori e lutti familiari, sui poveri orfani e sulle vedove,s ul ritorno positivo indotto da una capillare conoscenza del fenomeno e sulle azioni da compiere per prevenirlo. Tutta ipocrisia e tanta incompetenza, voluta incompetenza, da parte di soggetti attenti a ben altri fatti sociali.
Ricevetti, nel tempo, lettere di congratulazioni dal vice Presidente, Giuliano Angelini (che in precedenza era stato Presidente dell' INCA) e dal Direttore Generale, on.dr.Amos Zanibelli. Nel 1983, a seguito di richiesta del Presidente dell' Università popolare di Biella, ebbi la soddisfazione di essere autorizzato dalla Direzione generale INAIL a presentare una comunicazione scientifica al Convegno nazionale di studio (Milano,19-21 ottobre 1983) sul Centenario dell'assicurazione degli infortuni e delle malattie professionali in Italia.
L'anno seguente fu pubblicato dall'INAIL in 732 pagine, il volume degli Atti che custodisco gelosamente. In esso compare la mia comunicazione scientifica corredata di bibliografia, da p.709 a p.717, ma non vi è traccia di interventi dei numerosi colleghi "soloni" (buoni a parlare, ma non a scrivere!), che ho avuto la disavventura di incontrare sul mio cammino professionale.
Milano,19-21 ottobre 1983,Copertina Atti del Convegno di studi sul Centenario dell'Assicurazione infortuni e malattie professionali
(Biblioteca Italo Zamprotta)
Scheda catalografica dell'ICCU - Istituto Centrale Catalogo Unico. Alle pp.709-717 della pubblicazione è riportata la mia comunicazione
Sebbene per diversi anni mi fossi prodigato ad organizzare,nell'ambito dell'Università popolare di Biella, i corsi di Educazione alla sicurezza e alla salute nell'ambiente di lavoro, avvalendomi di brillanti Collaboratori (vanno doverosamente ricordati: il dott.Giovanni Maggio, Responsabile sanitario dell'Inail di Biella, precocemente scomparso;il dott.Mario Gallo, suo valido collaboratore; il dott.Andrea Rapaccini, otorinolaringoiatra, Consulente Inail per le ipoacusie professionali; il dott. Giuseppe Mezzina (già Ispettore tecnico del lavoro e poi libero professionista specialista in Ambiente e territorio), tutto il contesto di cui sopra mi nauseò fortemente e lasciai perdere questo filone di miei interessi culturali e professionali.
Infatti, notai che anche a livello professionalmente a me più vicino si adottava lo stesso comportamento: improvvisamente chi non si era mai occupato del fenomeno lo trovavo a discettare del problema in convegni di studio, soltanto per acquisire titoli. Incredibile! (In seguito, molti anni dopo, altri colleghi seguirono questo illustre precedente!)
Poi c'era stato un qualcuno che un giorno bonariamente mi aveva detto: "Perchè non lasci perdere? perchè ti interessi tanto di questi argomenti?". Era una suonata che non mi aspettavo di sentire. Questo "musicista" certamente era stato imbeccato, a livello locale, da qualche "direttore d'orchestra" molto più in alto di lui. (Desidero precisare che questo squallido episodio accadde in àmbito giornalistico, quindi l'INAIL non c'entra per niente).
Così, ingloriosamente, ebbe fine il mio interessamento per la sicurezza del lavoro. Amen.
Desidero, invece, qui di seguito riportare la mia produzione scientifica in questo settore, in ordine cronologico:
Articoli
· Infortuni sul lavoro: prevenzione e prestazioni, in Corriere Biellese, PSI, Biella, 29 ottobre 1971, p.3
· Le malattie professionali, in Corriere Biellese, PSI, Biella, 12 novembre 1971, p.3
· La prevenzione dei rischi da lavoro nella realtà sociale ed economica italiana in rapporto alle esperienze comunitarie: linee ed indirizzi di prevenzione, in Vita di provincia, Unione Biellese, Biella, luglio 1978 (questo articolo scientifico partecipò alla VI^ edizione del Premio Giornalistico Nazionale "Sicurezza nel lavoro", bandito dall' ENPI - Ente Nazionale Prevenzione Infortuni, vincendo il 1° Premio per la Sezione Stampa Periodica (il testo è consultabile presso la Biblioteca Civica di Vercelli e presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze).Lavoro segnalato nella bibliografia delTrattato dei nuovi danni,Vol. 4:Danni da inadempimento, responsabilità del professionista,lavoro subordinato ,del prof.Paolo Cendon(insigne giurista ed economista,ordinario di Istituzioni di Diritto privato all'Università di Trieste),pp.842,845,848, Cedam,Padova.
La prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle tecnopatie, in Mondo Biellese, maggio 1979
· Aspetti essenziali dei sistemi di sicurezza sociale di aluni Paesi comunitari, in Paesi e Città i Provincia, giugno, 1979
· La prevenzione infortunistica del lavoro: considerazioni sui dati nazionali e locali (settore tessile) del 1978, comparati con l'anno 1977, inAnnuario dell'Industria Tessile, Unione Biellese, Biella, 1980
· Situazione infortunistica in Italia: linee e indirizzi di prevenzione, in Annuario dell’industria tessile biellese, Unione Biellese, Biella, pp. 83-86, 1981
· La prevenzione infortunistica,in ANCoL Comunità, Torino, giugno 1981
· L'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro,in Panorama Biellese,Biella,luglio 1981
· Il mutilato e invalido del lavoro nell’anno internazionale dell’handicappato. Prevenzione e riparazione del danno infortunistico, in Panorama biellese, ripreso da “Rassegna stampa periodica Inail”, Roma, 9 dicembre 1981
· La sicurezza nell’ambiente di lavoro, in Cooperazione oggi, anno III, n.10, Milano/Biella, dicembre; anche in “Rassegna Stampa quotidiana”, pp.14-17, 21 giugno 1982, INAIL, Roma, 1982
· L’educazione alla sicurezza nell’ambiente di lavoro. Quattro sistemi a confronto, in Cooperazione oggi, anno IV, n.1-2, Milano/Biella, marzo 1983
· I cent’anni dell’assicurazione infortuni. Un’assicurazione al servizio dei lavoratori: evoluzione, problemi e prospettive, in Panorama Biellese, Biella, nn. 49-50, 1983
· Contributi dell’Università popolare di Biella all’educazione alla sicurezza nell’ambiente di lavoro, in Annuario dell’industria tessile biellese, Unione Biellese, Biella, pp.105-111, 1986
· Il "Sistema misto" nelle malattie professionali, Panorama Biellese, n.76, Biella, 1988
Conferenze e lezioni
· Evoluzione degli aspetti psicosociologici infortunistici: dal Taylorismo alla Scuola angloamericana delle Human Relations. Le Statistiche INAIL per la prevenzione, Corso di Educazione alla Sicurezza nell' ambiente di lavoro, UPB, Biella, 4-11 febbraio 1983
Dispense
· Principi di Legislazione sociale, con particolare riferimento agliinfortuni sul lavoro e alle malattie professionali, in collaborazione con Alessandro Furgiuele, dattiloscritto in proprio, ad uso concorso, Biella, 1970
· Aspetti psico-sociologici infortunistici nell'ambiente di lavoro, UPB, 1979
· Recenti risultati della prevenzione antinfortunistica del lavoro nell’ambito CEE, in Collana di Scienze sociali, UPB, Biella (recensione del Prof. Dr. Gilberto Pichetto, Eco di Biella, p.12, 21 agosto 1980
Pubblicazioni
· Introduzione generale all’ Incontro provinciale di studio “La tutela del lavoratore contro la sordità da rumori”, AnCol/Ipas, Biella, 2 aprile, pp.1-7, 1977 (catalogato presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino)
· La prevenzione dei rischi da lavoro nella realtà socioeconomica italiana in rapporto alle esperienze comunitarie, in Proposte sociali, n.3-4, AnCol/Ipas, Roma, luglio, pp.429-437,1979(catalogato presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino).L'anno seguente questo mio articolo fu citato nella bibliografia del Repertorio Generale Annuale della Giurisprudenza italiana ,pubblicato dalla UTET di Torino nel 1981
· Récents résultats de la prévention des accidents du travail dans le domaine CEE, L’Avenir, Bruxelles, pp.96,1981; ristampa riveduta dall'autore, Biella, 2006 (questo lavoro è catalogato e consultabile sia presso la Library of Congress di Washington sia presso la British Library di Londra)
· L’educazione alla sicurezza nell’ambiente di lavoro: esperienze di alcuni Paesi comunitari in "Atti" del Convegno nazionale Ricerca scientifica e tutela della salute nel lavoro artigiano, Epasa, Roma, 23-24 maggio, 1983(catalogati presso La Biblioteca nazionale centrale di Firenze,la Nazionale di Napoli e la Biblioteca dell'ASL-Sicurezza sul lavoro di Modena)
· Contributi dell’Università popolare di Biella all’educazione alla sicurezza nell’ambiente di lavoro, in Atti del Centenario del Convegno di studi sull’assicurazione infortuni e malattie professionali, INAIL, Milano, 19-20-21 ottobre 1983, pp.709-717(catalogati presso la Bibblioteca Nazionale Centrale di Firenze,la Nazionale Braidense di Milano,la Biblioteca di Medicina e chirurgia di Milano,di Pavia,la Nazionale Centrale di Roma,e la Centrale Giuridica di Roma).
· Per una nuova organizzazione del lavoro industriale, in Annuario industria tessile, Unione Biellese, Biella, pp.65-67,1985
· Lezioni di sociologia (con una presentazione del prof. Ottavio Ferulano), in Quaderni della Sezione di Scienze umane e sociali, UPB, Biella, pp.117, con recensione del Dr. Prof. Benito Rimini, Eco di Biella, p.3, 3 novembre; e il patrocinio del sociologo Prof.Umberto Melotti; ristampa riveduta e aggiornata dall'autore, Biella, 2006, pp.170, 1986
· Per una filosofia della sicurezza degli ambienti di lavoro:Introduzione e profilo storico.Attualità e prospettive, in Introduzione culturale allo studio delle nuove tecnologie, pp.13-38, cura di, et alii, presentazione della Dr.ssa Rosalia Aglietta (Assessore alla Cultura e Istruzione), Libreria Vittorio Giovannacci, Biella, 1992
· Dalla sicurezza del lavoro alle nuove tecnologie, in Aa.Vv., L’azione sociale, culturale e di educazione permanente dell’Università Popolare di Biella dal 1902 al 1992, a cura di R.Rabaglio e I.Zamprotta, Edizioni dell’Università popolare di Biella, prefazione di Oscar Botto, pp.251-288, 1992
Relazioni
· Il rischio da lavoro negli infortuni e nelle malattie professionali in campo tessile, ricerca coordinata per un gruppo di studenti/lavoratori (150 ore) della Scuola media “G.Salvemini” di Biella, anno scolastico 1977/78
· Principi di igiene e sicurezza del lavoro, Seminario formativo, Città degli Studi, Biella, 28 marzo 1978
· Aspetti psicosociologici infortunistici dell’ambiente di lavoro, in Convegno interregionale di prevenzione infortuni, Biella, UPB, 4 dicembre 1978
· Evoluzione aspetti psicosociologici infortunistici: dal Taylorismo alla Scuola angloamericana delle Human Relations, interventi al Corso di educazione alla sicurezza nell’ambiente di lavoro, UPB, Biella, 4-11 febbraio 1983
· Aspetti biblico-teologici ed etico-sociali del lavoro umano, interventi al Corso di Scienze religiose, UPB, Biella, 2-5 maggio 1983
· Evoluzione del sistema uomo-macchina-ambiente nella psicosociologia del lavoro, interventi al Corso di educazione alla sicurezza nell’ambiente di lavoro, UPB, Biella, 24-27 gennaio 1984
· Organizzazione del lavoro e problemi dell’automazione, intervento al Corso di educazione alla sicurezza e alla salute nell’ambiente di lavoro, UPB, Biella, 15 febbraio 1985
· Technostress:problemi psicosociologici del lavoro ai videoterminali,intervento al Corso di Educazione alla salute nell’ambiente di lavoro, UPB, Biella, 24 febbraio 1986, pp.6; e in Lezioni di sociologia, UPB, Biella, 1986-2006
· Fattore umano e prevenzione della lesività domestica, relazione presentata al Corso di educazione alla sicurezza nell’ambiente professionale e domestico, UPB, Biella, pp.6, 10 aprile 1987
Tesi
· Une iniziative à l’avant-garde dans la Communauté européenne:la réalisation du CIDI. Comparaison avec l’EDV d’Allemagne fédérale, Thèse de Maitrise, L’Avenir, Bruxelles, pp.102, 1977
Alcuni di questi miei lavori scientifici sono segnalati nella bibliografia della voce dell'enciclopedia Wikipedia:"Sicurezza sul lavoro".
(Biblioteca Italo Zamprotta)
Penso che sia giusto concludere questa Sezione riportando la storica scultura realizzata dall'italo-svizzero Vincenzo Vela nel periodo
1882-83, in onore degli oltre 200 operai che morirono nella costruzione del Traforo del San Gottardo,che si trova nella Piazza della
Stazione ferroviaria di Airolo nel Canton Ticino:
Una copia in bronzo di questo monumento è stata collocata nel 2008 all'ingresso della Direzione Generale dell'INAIL,
a Roma,in Piazzale Giulio Pastore,per interessamento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Appendice 1
ANCoL – Associazione Nazionale Comunità di Lavoro
IPAS – Istituto di Patronato per l’Assistenza Sociale
La tutela del lavoratore
contro la sordità da rumori
Convegno di studio con una Introduzione generale del prof.Italo Zamprotta e i contributi di:
G.Barbera,F.Labella,G.Andrianopoli,G.Mezzina,G.Rossi,C.Buemi,G.Bottura,M.Reggio,N.Erroi
Biella,2 aprile 1977
BIELLA - VERCELLI,1977
SOMMARIO
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Introduzione Generale
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Italo Zamprotta
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3
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Introduzione ai lavori
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Giuseppe Barbera
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11
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Presentazione
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Francesco Labella
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13
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RELAZIONI
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Gianfranco Andrianopoli
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16
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Giuseppe Mezzina
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27
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Giovanni Rossi
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39
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Carmelo Buemi
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44
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DIBATTITO
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Gianni Bottura
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56
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Michele Reggio
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60
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Nicola Erroi
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BIBLIOGRAFIA
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72
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INTRODUZIONE GENERALE
dr.prof.Italo Zamprotta
Giornalista pubblicista.Laureato in Scienze Economiche e sociali a Bruxelles.Funzionario INAIL.Docente incaricato di Legislazione sociale (parte speciale) nella Scuola Superiore di Servizio Sociale dell’ANSI di Biella. Docente di Sociologia del lavoro nell’Università popolare di Biella .
Il Convegno provinciale di studio sulla sordità da rumore,promosso dall’IPAS e dall’ANCoL,primo nel suo genere nella provincia di Vercelli,mi offre lo spunto per alcune considerazioni di carattere generale e,sotto il profilo della tutela del lavoratore,di una vera e propria sociologia infortunistica.
E’ a tutti noto che la legislazione sociale ha fatto passi da gigante in questo secolo,sotto la spinta delle Organizzazioni operaie e sindacali, realizzando,da un punto di vista giuridico,la tutela quasi completa del lavoratore nei vari momenti dell’attività lavorativa e anche nei momenti extralavorativi.
Purtroppo la tutela giuridica non è tutto.Essa va completata tenendo in debito conto i progressi raggiunti specialmente in alcuni Paesi esteri,in altri campi:
· ambiente e organizzazione del lavoro;
· risultati delle indagini e delle ricerche in psicologia del lavoro;
· acquisizioni scientifiche della medicina del lavoro e dell’ergonomia.
In Italia non sono molti coloro che si dedicano allo studio di questi problemi.A livello politico,sindacale,i problemi del lavoro si riducono ad una generica tutela della salute,dell’integrità fisica,etc.Tutte dizioni generiche e asettiche,che dimostrano l’insufficiente sensibilità della collettività e la carenza di studi,indagini,ricerche.
Più che altro,i problemi del lavoro costituiscono una consistente base della dialettica politico-sindacale,molto spesso da parte di elementi completamente a digiuno dei veri problemi del mondo del lavoro.
A livello scientifico,gli studi fondamentali in questo settore dobbiamo attingerli ancora all’estero1 .
I motivi sono di natura diversa e non è questa la sede opportuna per trattarne.
Solo da qualche anno,comunque,anche da noi si vedono in giro le prime timide ricerche,di cui si occupano – per motivi di studio – solo gli addetti ai lavoro e coloro che affrontano gli esami universitari di determinate discipline2 .
Poi tutto finisce lì,nel dimenticatoio delle buone intenzioni.
Stampa periodica,quotidiani e televisione raramente pubblicano e dànno spazio a servizi su questi temi e,quando lo fanno,il taglio del servizio è tale che non serve né allo studioso né all’uomo della strada per informarlo convenientemente e adeguatamente,Spesso si tratta di articoli e servizi per concorsi giornalistici!
Per restare nel tema:a quale livello in Italia si sa quante e quali sono le malattie professionali e,in particolare che cosa sia e che cosa comporti la sordità da rumore?Che cosa si fa per prevenirle?Esiste una adeguata normativa prevenzionistica? E gli interrogativi potrebbero continuare a lungo.
Lo Stato è informato adeguatamente oppure no sull’ampiezza del fenomeno?Chi si aspetta per dare inizio ad una vasta opera di educazione e addestramento alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali?
A guisa di altri Paesi della Comunità Economica Europea,bisogna dotare le fabbriche di tecnici della prevenzione,in collegamento con gli Ispettorati provinciali del lavoro;bisogna sottoporre periodicamente i lavoratori a controlli e accertamenti dell’idoneità e delle capacità psicofisiche.Accertare i livelli MAC (Massimo Ammissibile di Concentrazione) degli ambienti di lavoro e i TLV (Threshold Limit Value=Valori Limite di Soglia)3 , e inoltre tastare il polso ai dipendenti (con indagini a campione) per accertare il livello motivazionale della loro attività lavorativa.
Quindi sono diverse le componenti presenti per svolgere seriamente l’attività di prevenzione,perché non si esaurisce,come molti credono, nell’igiene e sicurezza del lavoro!
Pertanto, il tecnico della prevenzione,il medico del lavoro,lo psicologo del lavoro,il delegato di reparto,l’assistente sociale di fabbrica,l’esperto dei problemi del personale dovrebbero formare l’équipe di studio, indagine e ricerca che operano continuamente,in sinergia,per realizzare l’opera di prevenzione.
Non è il caso di fare i complimenti alla Repubblica Federale Tedesca,ma bisogna riconoscere che il sistema di prevenzione infortunistica4 (e quindi anche di prevenzione delle tecnopatie, cioè le malattie professionali) di quel Paese è da portare da esempio per gli altri Paesi.
Innanzi tutto,annualmente il Governo federale presenta al Parlamento una relazione generale sulla situazione infortunistica e prevenzionale.Nel nostro Paese una iniziativa del genere non è ancora nemmeno allo studio. Inoltre,esistono Centri di medicina del lavoro per visite periodiche, necessarie a fornire dati clinici continui tramite questionari sanitari per tutti i lavoratori.
Esiste un Ufficio centrale di prevenzione infortuni a Bonn, che si occupa anche di malattie professionali e studia ed elabora i dati statistici che vengono convertiti in provvedimenti di carattere tecnico e legislativo. E, quando dico tecnici,intendo riferirmi proprio all’organizzazione del lavoro e all’ambiente di lavoro, che debbono risultare sempre più idonei e perfezionati, in modo da consentire veramente l’impiego o l’inserimento nel loro ambito del lavoratore – uomo e non automa – non col solo diritto ad una retribuzione,ma con le sue motivazioni, le sue aspirazioni e il suo diritto ad un ambiente di lavoro organizzato a misura d’uomo e non solo genericamente idoneo a tutelare l’integrità fisica!5 .
Infine,sempre riferendoci alla Repubblica Federale Tedesca, in quel Paese si pubblicano periodicamente studi su base tossicologica e dei valori MAC delle sostanze dannose per la salute nell’industria, e analisi comparative con analoghe esperienze internazionali.
Purtroppo, parliamo molto di Europa, a tutti i livelli, perché ne facciamo formalmente parte, ma nulla facciamo per avere delle istituzioni a livello europeo, neppure quando si tratta di applicare a noi stessi – sia pure con le opportune modifiche e adattamenti – provvedimenti già sperimentati altrove.
A questo proposito,però,è doveroso soffermarci,sia pur brevemente,su una iniziativa in vigore in Italia dal 2 maggio 1974,quindi da tre anni,che proprio da tedeschi della Germania occidentale è stata ritenuta di notevole importanza e apprezzata per la chiarezza dell’esposizione e la riuscita dal punto di vista tecnico.
Per i risultati scientifici è ancora presto,giacchè occorre ancora qualche anno per poterne valutare l’effettiva portata.
Intendo riferirmi al C.I.D.I. (Centro di Informazione e di Documentazione Infortunistica), realizzato dall’INAIL, l’Ente assicuratore preposto in Italia, sin dagli albori della legislazione sociale, all’assistenza degli infortunati.L’INAIL, in possesso,per dovere istituzionale, di tutti i dati degli infortuni e delle malattie professionali denunciati, ha elaborato questo nuovo sistema di analisi statistica e di indagine sociologica, grazie al quale fa affluire ad un centro di elaborazione i dati completi di ogni singolo caso di infortunio e di malattia professionale, che poi vengono quantificati per metterne in risalto le più diverse caratteristiche, realtivamente alle modalità di accadimento dell’evento,al tipo di lavorazione, agli agenti provocatori,all’ambiente,alle conseguenze, e anche all’ ora, al giorno, alla qualifica rivestita e al tipo di attività.
Sono già state pubblicate a tutt’oggi due serie monografiche di dati, relativi al 1974 e al 1975, e tra breve usciranno quelle relative al 2° semestre del 1976 e al 19776 .
Lo studio attento delle Statistiche per la prevenzione mette in luce particolari finora sconosciuti e ci dà la fotografia esatta della realtà infortunistica italiana,sulla quale bisogna operare.
Pertanto, qualsiasi intervento a livello prevenzionale,mosso da seri presupposti scientifici e non da altre discutibili motivazioni,non può più prescindere da queste “Statistiche”, uniche non solo in Italia, ma in tutto l’àmbito della Comunità Economica Europea.
Le varie équipes operanti nell’àmbito di grandi aziende industriali, di Istituto universitari,di Centri di studi e ricerche sociali hanno il dovere scientifico e morale di mettersi a studiare e ad analizzare queste opere preziose, ricche di dati, che costituiscono il presupposto indispensabile per qualsiasi intervento di carattere prevenzionale in campo infortunistico.
Nel nostro caso,le équipes di ricerca e di studio, coordinate dai proff.Brancoli e Coppini7 , noti a livello internazionale, studiosi di vaglia di questi problemi di sicurezza sociale, non lésinano sforzi ed energie per realizzare periodicamente queste Statistiche,che costituiscono una vera gemma nell’ àmbito della Comunità Economica Europea, invidiata dal Paese che nel 1971 ha realizzato qualcosa del genere,l’EDV, cioè la Germania Federale.
Rispetto a quel Sistema, il nostro ha il pregio di una rapida pubblicazione dei dati,mentre quello tedesco, a quanto è stato detto nel Symposium di Monaco del 21-23 ottobre 19758 , organizzato dall’A.I.S.S. (Association Internationale de Sécurité Sociale), non è riuscito finora a fare altrettanto9.
E’ ovvio che nell’ambito di questo Sistema generale anche le sordità da rumore saranno studiate sotto altri profili, diversi da quelli tradizionali, che sembrano senza via d’uscita.
Certamente prima o poi,ad esempio,si verrà a conoscere il limite soglia, oltre il quale è d’obbligo operare – nell’ambito della fabbrica – quella mobilità della mano d’opera che impedisca ad alcuni di essere irrimediabilmente votati alla sordità e nel contempo consenta di evitare anche per altri quella monotonia delle mansioni che crea, a sua volta, stati di tensione a volte incontrollabili e spesso alla base di stress psicofisici e di infortuni10.
Pertanto, se vogliamo veramente inserirci nell’àmbito europeo,anche sotto il profilo della sicurezza sociale,c he ovviamente rappresenta uno dei cardini dell’inserimento e dell’integrazione dei Paesi dell’Europa unita, dobbiamo tenere presente che esiste,vivo e vegeto, un diritto internazionale della sicurezza sociale,a cui possiamo e dobbiamo attingere e contribuire.
A questo proposito è doveroso ricordare ciò che ha detto Léon Eli Troclet, illustre professore di legislazione sociale internazionale a Bruxelles, uno dei fondatori del diritto sociale europeo, già presidente dell’OIL (Organisation Internationale du Travail)e della Commissione sociale del Parlamento europeo, che è stato uno dei miei maestri: ”Il diritto sociale internazionale,a livello europeo, è in effetti destinato a un grande avvenire per l’organizzazione stessa dell’Europa, che cerca di divenire sempre più coerente ed omogenea in virtù di una legge sociologica ineluttabile. In un’epoca in cui tutti gli uomini sono chiamati a contribuire al lavoro produttivo, il diritto sociale europeo avrà una sviluppo incessante in questo rafforzato quadro europeo”11.
Pertanto, operare a largo respiro per la soluzione dei nostri problemi di sicurezza sociale - e questo Convegno di studio ne rappresenta un importante aspetto - equivale non solo a porre il nostro Paese a livello di quelli europei più progrediti e a dare ai nostri lavoratori condizioni di lavoro più adeguate e più integrative della loro personalità psicofisica, ma soprattutto a inserire il nostro Paese nel novero di un’Europa veramente civile,progredita, e capace di costituire un’entità sociopolitica ben definita per realizzare i supremi principi della giustizia sociale.
INTRODUZIONE AI LAVORI DEL CONVEGNO
Sen.Dott.Giuseppe Barbera
Medico-chirurgo,specialista in Medicina infortunistica.Presidente del Comprensorio Biellese. Senatore della Repubblica.
Mi pare doveroso,innanzi tutto,ringraziare gli organizzatori di questo Convegno di studio per avermi invitato,data l’importanza e l’interesse che i temi proposti rivestono.
Direi che,parlare della prevenzione,della tutela vontro la sordità da rumori,è parlare di un argomento che ha molte facce e un unico interesse.
Intanto,è un discorso essenzialmente medico con tutte le sue implicanze di contenuti patologici,di contenuti di diagnosi e di terapia.E’ un discorso sociale con i suoi contenuti altamente validi,di alto valore sociale,riguardanti la prevenzione,con tutte le conseguenze che le scelte di prevenzione comportano.
E’ contemporaneamente un discorso altamente politico per le scelte e le programmazioni che impone.
E’,inoltre,un discorso economico:in una società come la nostra esso rappresenta sempre la fase terminale o sintetica e si ricollega strettamente al tema della prevenzione.
Infatti,al di là delle ben più valide impostazioni umane e sociali,è chiaramente dimostrato dalle statistiche che costa meno alla società la prevenzione che non la cura.
E’ soprattutto un discorso reale ed attuale,estremamente vivo nel contesto della società in cui viviamo.
La conferma del valore complessivo dell’argomento trova riscontro nel polimorfismo dei relatori che riassumono nelle loro caratteristiche specifiche le caratteristiche dei contenuti.
E’ un discorso estramemente valido soprattutto se riferito alla nostra zona.I telai,in fondo,sono cosa nostra,della nostra terra,sono fonte della nostra prosperità ma anche di una serie di guai.
Penso,inoltre,sia doveroso aggiungere in questa sede anche un’altra considerazione:certamente non è intenzione dei promotori di questo Convegno portare avanti un discorso di semplice rivendicazione circa la situazione esistente che è,in fondo,il risultato di lunghe carenze a monte sia di ordine legislativo sia di ordine operativo.
Mi auguro che questo Convegno possa diventare motivo di incentivazione per attività culturali,scientifiche ed operative stimolando l’avvio di concrete iniziative nel campo.
PRESENTAZIONE
Dott.Francesco Labella
Dirigente centrale IPAS
Prima di iniziare i lavori di questa tavola rotonda che l’IPAS ha promosso su un tema che riteniamo di notevole importanza e organizzato con l’intento di richiamare l’attenzione del legislatore e delle categorie di lavoratori interessati, rivolgo,a nome della Presidenza e della Direzione generale,che ho qui l’onore di rappresentare,un cordiale saluto a tutti gli ospiti e a tutti i colleghi che sono intervenuti a questa giornata di studio.
Un particolare ringraziamento lo rivolgo ai relatori e al sen.Giuseppe Barbera,Presidente del Comprensorio Biellese,che hannno accettato di partecipare a questo nostro Convegno portando il loro contributo di esperienze e di idee per un approfondito esame del problema che oggi tratteremo.
E’ questo uno dei momenti in cui gli Enti di previdenza,i Patronati - perseguendo un interesse comune,interesse sociale – sono più che mai uniti dallo scopo di migliorare la situazione dei lavoratori e,nel nostro caso,di tutti coloro che sono occupati in ambienti rumorosi.
Non possiamo,infatti,dimenticare come il fattore “rumore”,oltre a rappresentare una delle cause principali di ipoacusie,costituisca da solo o in associazione con altre norme ambientali un fattore addirittura in grado di incidere sull’integrità psicofisica dei lavoratori.
Per questo riteniamo specifico il ruolo degli Enti di patronato insieme con le altre realtà del mondo del lavoro per una diversa politica in materia.
Maggiore rilievo riteniamo si debba dare all’aspetto della prevenzione:con la ricerca,lo studio delle cause,l’informazione,nonché con un’azione volta alla ricerca delle cause che sono alla base del triste fenomeno degli infortuni e della malattie professionali,potremo ridurre i drammatici effetti a cui oggi noi assistiamo.
Alla prevenzione,quindi,dobbiamo oggi rivolgere il nostro principale impegno,oltre che agli altri aspetti del problema,per ottenerne non solo un adeguato sistema legislativo in materia,ma anche una più efficiente salvaguardia della vita e della salute di tutti i cittadini lavoratori.
In questi obiettivi il nostro Istituto,l’IPAS,e la Associazione promotrice, l’ANCoL,quale associazione di cittadini lavoratori,sono quotidianamente impegnati.
L’ANCoL con una azione coerente ed incisiva volta ad allargare l’impegno dei propri gruppi sociali e quello dei lavoratori organizzati per una società diversa che si proponga,tra l’altro,lo sviluppo comunitario e la gestione democratica del territorio e dei servizi sociali fondamentali e,come in questo momento,la realizzazione nei fatti di una migliore sicurezza nell’ambiente di lavoro.
L’IPAS nel farsi carico del processo evolutivo delle leggi sociali e previdenziali in materia per ovviare alle attuali carenze con l’ampliamento della Tabella delle malattie professionali e con l’estensione dell’assicurazione ad altre categorie di lavoratori impegnati in attività rumorose,per armonizzare la legislazione italiana a quella dei Paesi comunitari.
Con questo spirito si è organizzato l’incontro odierno da cui ci attendiamo indicazioni e proposte per rendere più sicure queste particolari attività lavorative pur nella consapevolezza che per il raggiungimento di questi traguardi occorre l’unione e la convergenza di tutte le forse politiche e sociali.
Proprio per questo salutiamo cordialmente il Presidente del Comitato provinciale INPS,dott.Sala;la Delegazione della FILTEA-CGIL;i colleghi dei Patronati;i rappresentanti dell’Unione industriali biellesi e dell’ Associaizone Piccola Industria;l’Ufficiale sanitario del Comune di Biella,prof.dr.Gianni Bottura;i rappresentanti dei partiti e tutte le Autorità presenti,perché ogni impegno in questa direzione possa risultare utile alla soluzione dei problemi che oggi tratteremo.
Voglio leggervi i messagi augurali che gentilmente il Presidente della Provincia di Torino,dott,Giorgio Salvetti,ha inviato a questo Convegno:”Causa precedente concomitante impegno Amministrazione provinciale,non mi è possibile intervenire sabato 2 aprile al Convegno di studio.Invio espressioni fervida adesione”.Infine,il messaggio augurale del nostro Presidente e del nostro Direttore generale:”Spiacenti non poter partecipare Convego di studio odierno,desideriamo far giungere ai relatori ed ai partecipanti tutti il nostro cordiale saluto ed augurio di proficuo lavoro,confermando l’impegno della nostra Associazione et suo Istituto di patronato a una costante azione-tutela dei diritti e interessi dei lavoratori,rivolta alla prevenzione e informazione”. Rizzo Presidente IPAS.Drago.Direttore generale IPAS.
ASPETTI LEGISLATIVI DELLA MATERIA “SORDITA’ DA RUMORI” CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE TECNOPATIE “RUMORI DEI TELAI”.
Dott.Gianfranco Andrianopoli
Vice Direttore Sede INAIL di Biella
La tutela contro il rischio delle malattie professionali,nel nostro Paese, sulla spinta dell’evoluzione quotidiana della realtà sociale,è sorta con il Regio decreto legge 13 maggio 1929 N.929,entrato in vigore il 1° gennaio 1934, limitatamente alle intossicazioni da piombo,da mercurio,da fosforo,da solfuro di carbonio,da benzolo,e,nel settore agricolo,per l’anchilostomiasi.
E’ soltanto con la successiva legge 15 novembre 1952 N.1967,entrata in vigore il 27 dicembre 1952,successivamente recepita nel Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,approvato con DPR del 30 giugno 1965 N.1124,che la tutela delle malattie professionali acquista delle dimensioni molto notevoli con la sua estensione a 40 tecnopatie per l’industria e a 7 tecnopatie per l’agricoltura.
Attualmente,con il DPR del 9 giugno 1975 N.482,entrato in vigore il 24 ottobre 1975,le tecnopatie tutelate sono 49 per l’industria e 21 per l’agricoltura.
Inoltre,con quest’ultima legge sono state ampiamente aumentate le lavorazioni suscettibili di causare,secondo l’astratta previzione normativa,la singola tecnopatia assicurata.
La sordità da rumore – così come la lavorazione “lavoro dei telai” – è compresa nella tutela assicurativa del nostro Paese sin dalla legge del 1952.
L’elenco delle malattie professionali e l’elenco delle singole lavorazioni che sono suscettibili di causare la malattia,le cosiddette “liste”,cioè “lista delle malattie professionali” e “lista delle lavorazioni”,formano il fulcro del sistema delle assicurazioni contro le tecnopatie nel nostro Paese.
Infatti,la tutela assicurativa contro le malattie professionali sul piano giuridico e amministrativo di per sé forma un tutt’uno con la tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro,in quanto presupposti e requisiti voluti dalla legge sono gli stessi.(La differenza tra “infortunio” e “malattia professionale” è evidente:l’infortunio presuppone una causa violenta;la malattia professionale una causa lenta più insidiosa).
Ciò che rientra nell’assicurazione contro gli infortuni automaticamente è assicurato anche contro le malattie professionali.
Non è vero però il contrario,perché mentre la tutela contro gli infortuni è generalizzata,la tutela contro le malattie professionali è offerta soltanto contro quelle malattie professionali contratte nell’esercizio e a causa di una lavorazione compresa nella lista in relazione a tale malattia.
Inoltre,se per gli infortuni è sufficiente la condizione della semplice occasione di lavoro,per le malattie professionali è indispensabile che l’evento si manifesti proprio e specificatamente nell’esercizio e a causa della specifica lavorazione compresa nella lista.
La lista delle malattie e delle lavorazioni relative,da un punto di vista sistematico,cioè secondo la formula della legge anche alla luce della recente legge del 1875,forma l’oggetto della Tabella allegato N.4 al DPR 30 giugno 1965 N.1124,il cosiddetto “Testo Unico” INAIL.
Quali sono le ragioni della mancata generalizzazione delle malattie professionali?
Queste ragioni sono molteplici e costituiscono di per sé la causa del ritardo con cui la tutela contro le tecnopatie è entrata nel nostro ordinamento giuridico e in quello di tutti i Paesi industrializzati del mondo rispetto alla tutela contro gli infortuni.
Tali ragioni,a mio parere,consistono in motivi di ordine tecnico,come la difficoltà,che ritengo determinante,di distinguere la componente patologica afferente allo svolgimento della specifica attività lavorativa da quella componente comune che possa in qualunque momento colpire eventualmente l’individuo in quanto tale.
Per quanto riguarda la “ratio” della “lista” delle lavorazioni,oltre alle ragioni di ordine tecnico viste sopra per le malattie,vi è la considerazione in base a cui,alla luce della comune esperienza acquisita dal legislatore man mano che provvedeva all’emanazione dei successivi provvedimenti,molte lavorazioni non sono parse,e tutt’ora non paiono,ancora idonee a determinare di per sé l’insorgere della tecnopatia senza che vi sia l’intervento determinante di altre cause invalidanti intrinseche all’organismo.
Per la “sordità da rumori” abbiamo un esempio macroscopico,o per lo meno molto significativo,con gli addetti ai centralini telefonici.
Nella legge del 1975 le lavorazioni suscettibili di causare la sordità da rumore o ipoacusia sono aumentate moltissimo,però l’adibizione ai centralini telefonici è rimasta tutt’ora esclusa.
Il motivo di fondo è questo:in base alla valutazione della realtà di fatto oggi non vi è ancora la possibilità di determinare che questa malattia,se è contratta dal centralinista telefonico,dipenda dalla lavorazione in sé.
E’ chiaro che il nostro auspicio al riguardo va in un’unica direzione in quanto,oltre tutto,questa componente professionale si evidenzia ogni giorno di più.
Altre differenziazioni tra gli infortuni e le tecnopatie sono di carattere puramente tecnico e riguardano particolari aspetti delle prestazioni economiche (la rendita per inabilità permanente è corrisposta quando l’inabilità è superiore al 20% per le malattie professionali,anziché al 10% per gli infortuni),e delle visite di revisione.
Nel caso di malattie professionali,la prima visita è ammessa dopo 1 anno dalla manifestazione o,se vi è stata inabilità temporanea,dopo 6 mesi dalla cessazione di tale attività.
Le successive visite a distanza di 1 anno dalla precedente,sino allo scadere dei 15 anni dalla data di costituzione della rendita.
Per quanto riguarda la manifestazione della malattia,essa sul piano giuridico si considera manifestata nel primo giorno in cui vi è inabilità temporanea assoluta al lavoro.
Nel caso in cui non vi sia abbandono di attività lavorativa ovvero nel caso in cui la malattia dopo che il lavoratore ha cessato di prestare l’attività nella lavorazione che ha determinato tale malattia,essa si considera per legge manifestata nel giorno in cui viene prodotto il certificato medico attestante la tecnopatia.
Manifestatasi come sopra la malattia,quando ci si trova di fronte ad una lavorazione espressamente specificata nella Tabella come suscettibile di aver causato la malattia stessa,la normativa a questo punto prevede l’esame sulla natura di tale lavorazione.
Al riguardo la legge non presuppone che le modalità della singola lavorazione contengano pericolo di malattia nella singola fattispecie bensì lo presuppone ex lege con presunzione assoluta valida in linea generale e di principio.
Inoltre,tale lavorazione può anche non costituire l’attività unica o prevalente del singolo,in quanto sussiste il diritto alla tutela,anche se,al limite, tale attività costituisca per il singolo un’attività saltuaria o anche solo occasionale,purchè vi sia un minimo di adibizione;questo è valido dal lato oggettivo.
Tale norma deve essere ovviamente inquadrata ed esaminata alla luce dei requisiti soggettivi che sovrintendono all’assicurazione.
Cioè,atteso che da un punto di vista oggettivo il lavoratore ha diritto alla tutela contro le tecnopatie anche se la sua attività è svolta in maniera saltuaria e al limite anche occasionale,bisogna fare attenzione che,dal lato soggettivo,si sia in costanza del verificarsi dei presupposti e dei requisiti soggettivi che la legge espressamente indica all’art.4 del Testo Unico.
Secondo tale articolo,rientra obbligatoriamente nella tutela assicurativa colui che,alle dipendenze altrui,svolge attività manuale retribuita ovvero che sovrintende in modo permanente o avventizio con la sola esclusione dell’attività occasionale.
Cioè il dipendente per essere assicurato contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali deve,alle dipendenze e sotto la direzione altrui,svolgere opera manuale o opera di sovraintendenza in modo permanente o avventizio con esclusione del lavoro puramente occasionale che è al di fuori della tutela.
Però una volta che il dipendente rientra nell’obbligo assicurativo,scatta per lui la tutela assicurativa contro le malattie professionali.
Il fatto che lo stesso sia adibito ad una delle lavorazioni previste dalla Tabella è sufficiente a far scattare,nel caso contragga la tecnopatia,il suo diritto alla tutela anche se l’adibizione a questa lavorazione viene svolta praticamente in modo occasionale.
La sordità da rumore attualmente è compresa al N.44 della Tabella delle malattie professionali.
Mentre per le altre malattie comprese in Tabella l’elenco delle lavorazioni relative si esaurisce nell’indicazione generica che sono suscettibili di far contrarre la specifica malattia tutte le lavorazioni che espongono all’azione del determinato agente chimico o fisico e sue conseguenze dirette,per la sordità da rumore vi è una elencazione tassativa specifica ed univoca dei lavori.
Il “lavoro dei telai” occupa l’ottavo posto della lista delle lavorazioni riferite alla sordità da rumori.Esattamente come nella legge per la sordità da rumori istitutiva del 1952.
Cioè per la sordità da rumori la legge richiede che tale malattia,ai fini della tutela,sia diretta conseguenza di un agente,nella specie un agente fisico,il “rumore”,predeterminato e successivamente tabellato e che si manifesti attraverso una di quelle lavorazioni tassativamente elencate di cui appunto il lavoro dei telai occupa l’ottavo posto.
Il rumore al di fuori di tali lavorazioni è irrilevante ai fini della tutela in esame a tutt’oggi.La “ratio legis” per cui viene tutelata non la sordità da rumore in quanto tale bensì solo la sordità da rumore riprodotta da una delle specifiche lavorazioni tabellate evidentemente consiste nella risposta del legislatore ad oggi alle considerazioni di opportunità di ordine tecnico e scientifico di cui dicevamo prima.
La tutela assicurativa è estesa,come ho accennato un attimo fa,alle conseguenze dirette della malattia professionale.
Tale espressione “conseguenze dirette” non può,a mio parere,che essere interpretata nel senso suo proprio lessicale,per cui ogni singola fattispecie,in questo caso quando cioè la lesione derivi da conseguenze dirette,deve essere valutato caso per caso.
Tale locuzione “conseguenze dirette” che la legge ha posto evidentemente al solo scopo di evitare che possano essere ammessi a tutela stati invalidanti non compresi nella previsione normativa,cioè stati invalidanti che risultino non professionali o,se sono professionali,che non sono assicurati in quanto non sono compresi nelle lavorazioni della Tabella,tale locuzione acquista un rilievo chiarissimo in funzione dell’eventuale possibilità di esistenza di concause extralavorative invalidanti nella specifica fattispecie.
La concausa si ha allorchè la lavorazione in esame,la lavorazione “de facto”,non è la causa unica della manifestazione della tecnopatia.La questione della concausa è sempre stata per decenni,da quando cioè è uscita la legge, una questione molto dibattuta sia in dottrina sia in giurisprudenza.Allo stato della legislazione,è chiaro che dobbiamo prendere in esame la situazione al giorno d’oggi.
Il problema dell’esame delle concause,a mio parere,viene superato dall’esame specifico della locuzione “conseguenze dirette” delle malattie,perché è evidente che con il termine “conseguenze dirette” non si può arrivare che ad una conclusione:ogni manifestazione della malattia professionale deve essere senz’altro ammessa alla tutela ogni qualvolta tale malattia sia dovuta all’azione dell’agente morbigeno specificato ovvero quando la tecnopatia sia dovuta alle conseguenze dirette che l’azione di tale agente morbigeno,fisico o chimico,è suscettibile di produrre nell’organismo.
Il problema riguarda l’analisi dei presupposti e della natura di tali conseguenze dirette.E’ chiaro che questo esame viene affrontato in sede di valutazione medica o medico-legale.
Per quanto riguarda le lavorazioni riferite ad ogni singola tecnopatia,la tassatività di queste lavorazioni deve essere valutata alla luce di tutto il complesso del sistema delle norme al riguardo,norme che stabiliscono in astratto il complesso dei criteri per la ricorrenza dell’obbligo assicurativo da una parte e per la tutela dei diritti dei lavoratori dall’altra.
La prima conseguenza molto importante a questo proposito è che ogni lavorazione compresa nella lista deve essere considerata non soltanto in se stessa lavorazione,ma bensì comprensiva di ogni attività,di ogni lavoro ad essa lavorazione principale complementare,sussidiario o accessorio.
L’art.3 del Testo Unico,quando richiede che la malattia sia contratta nell’esercizio e a causa della lavorazione,ha in effetti carattere di norma speciale,ma soltanto in relazione allo specifico nesso di collegamento con l’attività lavorativa.
Per ogni altro aspetto la tutela delle malattie professionali deve essere inquadrata nel sistema generale di tutela antinfortunistica offerto dalla vigente normativa per cui ogni lavoratore,anche se non addetto in modo specifico, diretto alla lavorazione tabellata,ha diritto e deve entrare nella tutela in esame,perché tra le norme che impongono l’obbligo assicurativo vi è anche quella – comma 5° dell’art.1 del Testo Unico – che fa espressamente riferimento ai lavori complementari e accessori,dicendo che l’obbligo assicurativo sussiste anche per gli addetti a tali lavori per cui di conseguenza il lavoratore addetto in modo permanente o saltuario o anche,come abbiamo visto,solo occasionalmente,ha diritto a vedere estesa la tutela assicurativa in quanto il rischio professionale,anche qui con presunzione assoluta,si estende automaticamente a tutti i lavori complementari o accessori.
Questo nesso di complementarietà e di sussidiarietà,ovviamente,va inteso in un senso che coinvolga l’organizzazione specifica della singola azienda o quanto meno va inteso nel senso di interdipendenza reciproca e di coordinamento nel quadro della specifica attività organizzata dell’impresa.
Tali concetti di interdipendenza e di coordinamento per ogni fattispecie vanno valutati alla luce dei principi generali della tutela in esame e il rispetto di tali principi – ed è sufficiente una sommaria esegesi della norma – si ha quando si verificano obiettivamente le seguenti due condizioni:
1. che la tecnopatia risulti causata da un agente lesivo,nel nostro caso il “rumore”,relativo alle lavorazioni tabellate ovvero a lavori complementari o sussidiari a tali lavorazioni alla luce della singola lavorazione imprenditoriale;
2. che lo specifico lavoro sia svolto in un ambiente in cui l’agente lesivo sia idoneo ad esplicare la propria efficacia morbigena,cioè in pratica che il lavoro sia svolto nello stesso ambiente in cui il rischio professionale è suscettibile di prodursi.
Queste considerazioni ci portano a trattare un problema molto importante ed anche molto dibattuto,il problema del cosiddetto “rischio ambientale”.
Il problema del “rischio ambientale”,molto dibattuto nell’assicurazione infortunistica,è quel rischio che non riguarda direttamente l’attività del soggetto interessato bensì l’ambiente nel quale il soggetto opera,ambiente naturalmente organizzato per l’attività produttiva dell’impresa.
In materia di tecnopatie il rischio ambientale acquista invece,proprio per sua stessa natura,valore di rischio diretto e non solo diretto,ma anche immediato,in quanto – questo è nella comune esperienza diuturna – l’ambiente è un complemento essenziale e determinante attraverso il quale lo specifico agente lesivo fisico o chimico – nel nostro caso il “rumore” – è suscettibile di esplicare la sua efficacia nefasta e morbigena.
Anzi,direi,per quanto riguarda il “rumore”,l’ambiente assume veramente rilevanza determinante.
Consegue che la tutela assicurativa spetta a coloro che nell’ambiente in cui l’agente lesivo è suscettibile di operare svolgono una delle lavorazioni tabellate o una lavorazione a detta lavorazione tabellata complementare o sussidiaria,cioè una lavorazione accessoria e che sia connessa e sussidiaria per l’apporto di interdipendenza e coordinamento nel quadro dell’attività organizzata dell’impresa.
Ne consegue inoltre che – questa è una osservazione – dal punto di vista pratico non è forse determinante,per quanto riguarda il lavoratore,in una impresa una lavorazione che sia complementare o accessoria ad una lavorazione tabellata che rientra in astratto e di per sé fra quelle tabellate.
Faccio un esempio:se in un nostro ambiente dei telati esiste un laboratorio di meccanica per riparare il telaio,l’eventuale tecnopatia che dovesse colpire l’addetto all’officina meccanica non deve far capo al lavoro dei telai in quanto l’officina meccanica,se fornita di seghe per metalli,è di per sé una delle lavorazioni comprese nella Tabella.
Cioè in questo caso la tecnopatia va collegata non alla lavorazione principale,ma alla singola lavorazione accessoria soltanto nel caso in ispecie,in quanto l’attività produttiva dell’azienda ha come lavorazione principale un’altra.
Un’altra notevole conseguenza della normativa in vigore – conseguenza non priva di risultanze a volta ingiuste – riguarda il termine finale riferito alla cessazione dell’attività lavorativa,oltre il quale la tecnopatia se si manifesta viene considerata – con presunzione assoluta – completamente estranea alla lavorazione svolta in precedenza.
Se invece la tecnopatia si manifesta prima che questo termine finale decorrente dalla cessazione del lavoro sia scaduto,la tecnopatia si considera a tutti gli effetti come se il lavoratore fosse ancora addetto alla propria attività con tutte le conseguenze.
Come dicevo prima,la legge non richiede assolutamente un periodo minimo di adibizione al lavoro perché si possa presumere che la tecnopatia è conseguenza del rischio professionale.Esiste invece un termine finale dalla cessazione dell’attività.Tale termine varia per ogni tecnopatia.Per la sordità da rumore originariamente con la legge del 1952 era di 1 anno,cioè l’operaio aveva tempo 1 anno dopo che aveva abbandonato l’attività lavorativa specifica per far valere il diritto alle prestazioni.
Trascorso tale anno l’eventuale sordità da rumore – nel caso in ispecie – si considerava – con presunzione assoluta – come avvenuta al di fuori dell’attività lavorativa.
Tale termine di 1 anno,che era stato recepito nel T.U. del 1965,è stato elevato a 2 anni con la legge N.98 del 1968.Infine,con la legge in vigore del 1975 il termine è stato elevato a 4 anni.
Sulla materia del termine finale,il legislatore ha effettivamente dimostrato di prestare un orecchio – seppure debolissimo – all’evoluzione della realtà sociale.
Questa successione di termini finali pone problemi di interpretazione. Poichè la legge attuale è entrata in vigore il 24 ottobre 1975,è a tale data che occorre fare riferimento in relazione alla data di manifestazione di malattia e alla data in cui è cessata l’attività lavorativa,anche se la lavorazione è stata abbandonata in precedenza quando vigeva il termine biennale della legge 1968.
A questo punto – esaminati gli aspetti salienti e più significativi della tutela assicurativa offerta dal nostro ordinamento – ritengo sia necessario spendere alcune parole per illustrare la posizione assunta dagli Organi comunitari della CEE per la realizzazione di un compiuto sistema di sicurezza sociale.
La CEE dimostra – verso questo aspetto della sicurezza sociale – di avere una positiva volontà politica.Quello che talvolta manca è la volontà politica dei singoli Stati membri di accogliere le dichiarazioni di principio annunciate dagli Organismi comunitari recependoli ciascuno nel proprio ordinamento giuridico nazionale.
Seppure ancora con molte limitazioni e carenze.l’Italia – rispetto agli altri Paesi europei – è all’avanguardia in materia di tutela contro il rischio di malattie professionali,soprattutto dopo l’ultima legge del 9 giugno 1975 che ha elevato il numero delle tecnopatie tutelate rispettivamente a 49 per l’industria e a 21 per l’agricoltura.
Le iniziative della CEE in materia possono essere sintetizzate sulla base delle seguenti dichiarazioni di principio:
· raccomandazione CEE del 23 luglio 1962 per l’adozione di una lista comune europea delle malattie professionali;
· successiva analoga raccomandazione CEE del luglio 1966 proposta del BIT-Bureau International du Travail,purtroppo caduta nel vuoto in quanto,sulla scorta della raccomandazione del 1962,molte nazioni avevano già provveduto a emanare i singoli provvedimenti legislativi interni senza tuttavia alcun collegamento tra di loro.
Sta di fatto comunque che,seppure lentamente,i principi informatori che furono alla base di queste raccomandazioni di iniziative CEE vengono recepiti dai singoli ordinamenti nazionali.
A questo punto non resta altro che formulare auspici affinchè nel nostro Paese il costante aggiornamento di questa normativa avvenga soprattutto in armonia con gli altri Paesi europei,cioè a livello di Comunità Europea.
Sen.Dott.Giuseppe Barbera
Ringrazio il dott.Andrianopoli soprattutto perché è riuscito a rendere non dico piacevole,ma perlomeno intelleggibile questa parte così ostica e così contorta della parte legislativa e direi che bene ha fatto ad auspicare una legislazione europea dei problemi del lavoro che vada a trovare un denominatore comune su questi problemi così comuni.
Direi che dall’intervento del dott.Andrianopoli un punto, a mio modo di vedere, emerge abbastanza interessante e molto importante:quello del rischio ambientale.
Anche dal punto di vista legislativo,la materia del rischio ambientale sta seguendo una sua evoluzione soprattutto a seguito dell’emanazione delle leggi regionali riguardanti le Unità sanitarie di base.
Io credo che le Unità sanitarie di base,che sono una realtà che sta per diventare una realizzazione completa,avranno modo di intervenire e di produrre dei reali e concreti risultati.
Sono lieto che questo discorso del rischio ambientale sia stato così ben lumeggiato dal punto di vista della legislazione e dal punto di vista di tutte le conseguenze cliniche e medico-legali che il rischio ambientale comporta.
Sono lieto quindi che il secondo relatore,dott.Giuseppe Mezzina, Funzionario dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Vercelli,abbia scelto proprio come tema la prevenzione delle sordità da rumore in ordine all’ambiente e alle macchine dell’industria tessile allo stato attuale.
LA PREVENZIONE DELLA SORDITA’ DA RUMORI IN ORDINE ALL’ AMBIENTE E ALLE MACCHINE
DELL’INDUSTRIA TESSILE ALLO STATO ATTUALE. PROSPETTIVE E ATTESE.
Dott.Giuseppe Mezzina
Ispettore tecnico del lavoro.Laureato in Scienze economiche.Specialista in Scienze ambientali. Docente di Scienze della sicurezza del lavoro all’Università popolare di Biella.
A nome dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Vercelli un saluto a tutti gli intervenuti a questo Convegno che vuole mettere a fuoco un problema fondamentale:quello della prevenzione della sordità da rumore nell’ambiente di lavoro.
Con molto piacere l’Ufficio ha accolto l’iniziativa del Patronato IPAS perché quanto più siamo impegnati da un punto di vista e della sensibilità e delle responsabilità in questa materia,maggiori possono essere i risultati.
Voi sapete che istituzionalmente l’Ispettorato del lavoro è chiamato a svolgere in modo principale,prevalente,questa sua attività di prevenzione non disgiunta da quella di repressione,quando gli strumenti legislativi glielo consentono.
Dirò qualche cosa al di fuori del rumore per darvi un’idea di quanto il lavoro di prevenzione venga in modo particolare seguito dal nostro Ufficio e, forse,e anche senza forse,abbiamo la certezza,attraverso il confronto con gli altri colleghi di tutta Italia,che l’Ufficio di Vercelli segue il problema della prevenzione in modo particolare.
In questo modo:la zona,la provincia è da m olti anni stata divisa in zone; a ciascuna zona attende un Funzionario tecnico,il quale può meglio controllare nell’àmbito delle sue possibilità gli eventi che in quella zona avvengono sia in via preventiva che successiva,quindi con la ricostruzione di incidenti di infortuni sul lavoro.
Noi essenzialmente abbiamo diviso la nostra provincia in tre grosse zone:
1. la Valsesia;
2. il Biellese;
3. il Vercellese.
Il Funzionario ha questo spezzone e segue tutto quanto si verifica al suo interno.
E’ un modo come un altro per razionalizzare gli interventi,perché i funzionari preposti sono molto pochi e si vuole in questo modo evitare una sovrapposizione di interventi nell’àmbito delle stesse aziende a dispetto di una rarefazione in altre zone un po’ più scomode,un po’ più distanti e quindi sostanzialmente per impiegare le forze disponibili nel migliore dei modi possibile
E’ una tecnica,diciamo,non nostra,in Inghilterra la seguono da tanto tempo,noi abbiamo cercato nei nostri limiti di adeguarci un po’ a questo sistema.
Mi piace riferirlo perché effettivamente è un’esperienza che ha portato anche a conoscere sempre di più i problemi specifici di ciascuna zona,cdi ciascun ambiente.
Il dott.Andrianpoli,vice Direttore dell’INAIL di Biella,vi ha parlato sostanzialmente di quella che è la normativa un po’ a valle degli eventi,cioè quando l’Istituto è chiamato in causa per intervenire a risarcire il danno,per riconoscere e quindi per accertare la malattia professionale proveniente da rumore ambientale.
La nostra funzione è di un altro tipo:quella di conoscere un pò le fonti, vedere quello che è possibile fare.
Il rumore come effetto lesivo,come fatto lesivo dell’apparato uditivo è stato oggetto negli ultimi anni di una accelerazione di studi.Noi abbiamo la fortuna di avere fatto negli ultimi anni degli studi approfonditi in materia.
Negli ultimi anni c’è stata infatti una accelerazione in questa direzione. Accelerazione che consente anche di prefigurare qualche intervento pratico prima ancora di arrivare a constatare la malattia che sappiamo essere irreversibile,e portare anche effetti negativi su altri apparati dell’uomo:quello nervoso,quello stesso semplice della digestione.
Naturalmente questo problema si è posto anche perché cominciano a manifestarsi gli effetti di questa malattia e si cominciano ad accertare sempre di più,ogni giorno di più,casi di sordità da rumore proveniente dall’ambiente di lavoro.
Quali sono i limiti al di sopra dei quali comincia ad essere interessato in forma negativa l’apparato uditivo e quindi in effetti comincia ad attecchire questa malattia?
Penso che di me potrà dirlo il prof.Rossi che è un esperto in questa materia.Io posso solo riferirvi che la complessità dei fattori che determinano questa malattia non ha posto gli studiosi tutto su uno stesso piano,da un punto di vista della soglia massima limite al di là della quale comincia la manifestazione e quindi cominciano gli effetti del morbo.
Molti sono orientati su un livello non eccedente i 90 decibel(che d’ora in avanti chiameremo dB),in qualche altro stato viene preso a base il valore 85, addirittura in Spagna pare vi sia un limite di 80 db,mentre in Germania e in Russia è di 85 dB. Negli USA e nel Regno Unito tale limite è di 90 dB.
Questi limiti naturalmente finiscono per essere oggetto di critica.Come mai certi stati si attestano su un determinato livello ed altri su altri valori? In effetti,come il Presidente di questo Convegno ha sottolineato,dietro a questi aspetti ve ne sono altri di più vasta portata come quelli politici,economici,che investono modalità di intervento nell’economia e quindi del progredire;ma su questo direi di non entrare nel merito.
Naturalmente alle fonti di rumore che sono la componente essenziale, fondamentale di questa malattia si aggiungono gli stati patologici propri di certi lavoratori che sono,diciamo così da un punto di vista strutturale,predisposti ad avere una accelerazione di manifestazione di questa malattia.
Vediamo un po’ nel nostro ambiente,nel Biellese,che cosa ci interessa di più,essendo questo l’oggetto del Convegno,quali sono gli ambienti,le macchine, gli impianti che ci creano delle preoccupazioni.
Se dovessimo guardare la Tabella annessa al Decreto del 19 marzo 1956 N.303 sull’igiene del lavoro notiamo che il rumore fa un’apparizione,diciamo, quasi timida,perché la voce 49 – e pensate che per essere stata formulata questa normativa nel 1956 è stata almeno elaborata due o tre anni prima, quindi andiamo indietro di molti anni! – fa riferimento al lavoro dei calderai,alla ribaditura dei bulloni,etc.,e all’ultimo posto cita:“…i lavori ai telai meccanici di tessitura già di diverso tipo,diversa struttura,di diverso principio tecnologico di funzionamento”.
Una prima osservazione emerge dal fatto che il legislatore fa riferimento – nell’àmbito della prevenzione – ai lavoratori addetti ai telai.Quindi prescindendo da quella che è l’ubicazione degli stessi nell’ambiente,la collocazione degli stessi in ambienti nei quali vi sono altre macchine,di ambienti in prossimità dei quali ci sono altri reparti operativi.
Quindi un riferimento stretto sostanzialmente a quella che è la qualifica dell’operatore del reparto.Un riferimento in verità superato.Superato perché oggi non è il solo ambiente dal quale dobbiamo difenderci nell’àmbito del settore tessile.
Ci sono alcuni ambienti,alcuni reparti,per esempio quelli di filatura,di pettinatura,molti impianti di aspirazione,molti impianti pneumatici di alimentazione ed altri impianti complementari tendenti a creare condizioni particolari per la lavorazione,i quali provocano del rumore e pare che – pare e non solo,ma è stato anche verificato – queste altre fonti non sono da sottovalutare perché in ogni caso è dato quasi per certo che la rumorosità supera il valore degli 85 dB.
Il che allarga un po’ la prospettiva di quelli che sono gli interventi che bisogna fare su queste macchine e su questi impianti.
Che cosa ha dato il legislatore nelle mani degli addetti al controllo,alla verifica degli ambienti di lavoro? Sostanzialmente una normativa povera di fronte ad un problema molto delicato e complesso.Vi sono quindi davanti al preventore aspetti tecnici per l’esecuzione materiale,per l’adozione concreta e pratica delle misure da adottare in materia di prevenzione,mentre d’altra parte vi sono appoggi e sostegni legislativi in realtà molto limitati.
La normativa vigente,quella che chiama in causa il rumore,è sostanzialmente richiamata in un solo articolo della legge 303,l’art.24.Ma se volessimo cercare altre fonti legislative per circoscrivere ed intervenire meglio negli ambienti a proposito del rumore,rimarremmo sostanzialmente delusi.
Infatti,praticamente,ci sarebbero soltanto cinque articoli della legge 303 che potrebbero essere chiamati in causa:l’art.19,che fa un astratto riferimento ai lavori nocivi ed insalùbri(si deve in effetti fare un po’ di fatica anche per ricondurre l’ambiente rumoroso in questo nocivo ed insalùbre!).
Il legislatore con la norma richiamata forse non voleva fare riferimento all’ambiente rumoroso ma ad altri ambienti.Noi prendiamolo ugualmente in considerazione,essendo il rumore aspetto nocivo,un aspetto che desta preoccupazione.
Il legislatore però che cosa dice in questo articolo? Sostanzialmente che i “lavori nocivi ed insalùbri “,ogni qualvolta è possibile,devono essere effettuati in luoghi separati.La norma non si attaglia bene al nostro caso;non si tratta infatti di una lavorazione che ha una dimensione circoscritta,ridotta,per cui la si possa incapsulare o isolare in un ambiente ristretto,come per esempio nel caso di un compressore che si può collocare in un ambiente autonomo.
Si tratta di veri e propri reparti che hanno un’ampiezza,un’estensione, una quantità di operatori non indifferente per cui questa normativa male si può prendere a base per un intervento da parte dei preventori.
L’art.24 è quello del quale si è accennato in precedenza e che, stringato,generico,ha creato non poche difficoltà.Esso recita:”…Nelle lavorazioni che producono scuotimenti,vibrazioni,rumori dannosi ai lavoratori devono adottarsi i provvedimenti consigliati dalla tecnica per diminuire l’intensità”.
Quali sono i provvedimenti della tecnica?La tecnica infatti ne suggerisce diversi.Per diminuire poi di quanto?Di poco,di molto,di tanto quanto basta per non creare i presupposti per la malattia professionale?Così non si fa riferimento a tipi di tecniche nè oggettive né soggettive.
Sono necessari interventi diretti sull’ambiente o possono bastare misure preventive quali i mezzi personali individuali di protezione?
La norma si presta naturalmente ad essere interpretata a seconda del destinatario.Su questo articolo ritorneremo perché vedremo che cosa in effetti si è fatto,che cosa si può fare e che cosa si deve ancora fare in concreto sulle macchine che sono diffuse nella nostra zona,nel Biellese in particolare.
A fianco di questi interventi di ordine oggettivo la legislazione prevede che ci si preoccupi dell’andamento dello stato di salute del lavoratore che vuole seguire attraverso un sistema di controlli medico-sanitari,cioè attraverso visite mediche preventive e periodiche annuali.
A questo punto devo leggere quanto è previsto dall’art.33 del DPR 303 e che merita un breve commento.Infatti,si dice:”Nelle lavorazioni industriali che espongono all’azione di sostanze tossiche o infettanti o che risultano comunque nocive – indicate nella Tabella allegata al presente decreto – i lavoratori devono essere visitati da un medico competente:
1. prima della loro ammissione al lavoro al quale sono destinati;
2. successivamente in periodi indicati nella tabella per constatare il loro stato di salute…”
Non vado oltre perché ci sono altri aspetti.
L’idea è buona,cioè si tratta di seguire prima e durante l’inserimento dell’ operatore nell’àmbito di un ambiente insalùbre e nocivo le condizioni di salute del lavoratore e le sue possibili evoluzioni.Però la norma si perde, quando,ad un certo momento,limitandosi a fare riferimento ad un “medico competente” non precisa se questo deve essere un medico specialista,cioè se deve essere un otorinolaringoiatra o se è “competente” il medico solo perché,in relazione alla zona nella quale opera,si è fatta una certa esperienza ovvero ha dato una certa specifica impronta professionale.
A livello amministrativo,pare che questo “competente” significhi un laureato in medicina.Comunque,l’operatore dovrebbe essere visitato prima e durante.
Lascio a voi definire la “competenza”.C’è di fatto che il medico “competente” compila il certificato relativo alla visita molto rapidamente e quasi sempre,nella periodicità del controllo annuale,scrive che il lavoratore è “idoneo”.Poi stranamente,dopo 10 o 20 anni,i lavoratori sono riconosciuti dall’ INAIL affetti da ipoacusia.Forse il medico è costretto a fare una visita superficiale,forse visita il lavoratore soltanto nell’ambulatorio e con i mezzi che ha.Conforta questa rilevazione e questa constatazione il fatto che l’art.139 del Testo Unico al 1° comma prevede apposita denuncia all’Ispettorato del lavoro da parte dei medici che nell’àmbito delle visite mediche preventive e successive scoprano potenzialmente o in uno stato avanzato una situazione particolare connessa con una malattia professionale.
Orbene,in 20 anni non ho mai visto segnalazioni di questo tipo ove si escludano quelle che vengono fatte ex-post e per ragioni di rilevazione d’ufficio, dall’INAIL che ad un certo momento accerta una certa situazione e la segnala.
Perché tutto questo? Perché si scoprono poi tutte a un tratto?
Un’altra fonte che può consentire di seguire questo fenomeno è la segnalazione prevista dall’art.48 della stessa legge che impone l’inoltro all’ Ispettorato del lavoro di una comunicazione quando si costruiscono nuovi ambienti o si adattano ambienti per lavorazioni industriali dove presumibilmente devono essere occupati più di tre dipendenti.
Bene.A parte che tutti gli ambienti antecedenti all’entrata in vigore della norma non sono quindi soggetti a questa norma e,quindi,molta parte degli ambienti dell’industria sono quelli che erano e sono rimasti;molte volte queste segnalazioni vengono fatte effettivamente,ma inizialmente gli ambienti vengono adibiti ad un certo tipo di lavorazione,successivamente vengono diversificate le lavorazioni e quindi finisce per sfuggire poi al controllo una conoscenza preventiva della lavorazione.
Molte volte questo si accerta dopo diverso tempo,dopo diversi anni,e si devono magari rincorrere situazioni che potevano essere risolte,anche se in parte,se la segnalazione fosse stata fatta in tempo.
Purtroppo la tecnologia,le modalità di impostazione di una organizzazione economica non sempre possono prevedere quella che è l’evoluzione dell’ attività.Si comincia con un certo tipo di attività e poi naturalmente subentrano diversificazioni.Si inseriscono macchine diverse,macchine nuove,macchine che hanno un certo processo di lavorazione e quindi è difficile seguire questa evoluzione.
Non di meno quando è stato possibile,si è intervenuti cercando di dare opportuni suggerimenti che rendessero l’ambiente,nel limite del possibile,il meno dannoso.
In che modo si può intervenire su questi ambienti? Naturalmente il primo controllo deve essere effettuato prima che la macchina venga portata nell’ ambiente,cioè accertarsi che la macchina o l’impianto non siano di per se stessi già rumorosi,cioè al di sopra di quei valori in dB che non devono essere superati.Quindi è un problema di ordine costruttivo,non solo a livello nazionale,ma a livello internazionale.
Molte macchine tessili nella nostra zona sono di provenienza estera; molte altre sono di provenienza nazionale.Sia i controllori di macchine estere sia quelli nazionali,notiamo,non hanno sufficientemente meditato,non si sono sufficientemente intrattenuti sulla componente del rumore.Forse non è stato possibile per l’assenza di una normativa che potesse fare da regola alla utilizzazione di macchine di questo tipo.
E’ vero che,per esempio,i telai meccanici di tessitura sono quasi scomparsi(quelli tradizionali a navetta),quelli cioè che battevano 80-100 colpi al minuto,ma oggi la tecnica e i processi tecnologici fanno si che ci siano telai basati su altri principi come quelli Shultzer a proiettili e altri a pinza.Queste macchine hanno purtroppo,anche se prese isolatamente,un valore che eccede i 90 dB.Naturalmente queste macchine messe in un ambiente con altre macchine dello stesso tipo e magari su un piano di appoggio che non sia quello terra ma una soletta sopraelevata,ovvero in ambienti in cui ci sono molte vetrate e quindi con riverberanze(dove la fonte del rumore può essere intensificata,può essere accompagnata,può essere aiutata da altri effetti secondari dovuti alle virbazioni)fanno si che quei valori aumentino e peggiorino la situazione.
L’intervento quindi deve avvenire prima alla fonte,cioè nella fase costruttiva,e a tale proposito è da auspicare,per esempio,l’inserimento di una normativa(de jure condendo)in un certo senso simile,ma non identica a quella prevista dall’art.7 del DPR 547 in materia di prevenzione degli infortuni,norma che dovrebbe prevedere il divieto preciso per il costruttore eper il commerciante di immettere sul mercato macchine che abbiano rumorosità eccedente un livello da stabilirsi.
Naturalmente per le macchine che ci sono già bisogna cercare di intervenire sulle stesse.E non è sempre facile.Non è facile perché la macchina sorge strutturalmente in una certa maniera.Si dovrebbe spegnere quella fonte.
Per spegnere la fonte si dovrebbe mettere però una campana di vetro attorno alla macchina.E questo non è possibile.
Quindi l’isolamento della macchina è una strada che va seguita allorquando non ci sono altre soluzioni tecniche possibili e il rumore è molto forte.
Come si interviene essenzialmente,in concreto,oggi?Attualmente si eseguono preventivamente delle rilevazioni ambientali fonometriche.Si fanno delle mappe di rumore.
L’Ispettorato del lavoro dispone di un Servizio chimico a Torino per tutto il Piemonte,cui attendono solo quattro funzionari che si devono preoccupare del “rumore” – tra l’altro – e fanno queste rilevazioni.
Quindi si deve vedere dove ci sono queste fonti perché di lì incomincia l’opera di prevenzione.Una volta accertate queste fonti che cosa è possibile fare? Lo si vede di volta in volta in relazione.Nel passato,in relazione alla macchina o all’impianto,sono state suggerite misure diverse.Nel caso di impianti di aspirazione,di ventilazione,di ricambio dell’aria,di pneumatizzazione è più facile intervenire sulle singole fonti e ivi effettivamente il problema tecnico è circoscrivibile.
Per le macchine per cui non è possibile realizzare queste misure “ad hoc” si interviene o cercando di attenuare i fenomeni indiretti e riflessi(come le vibrazioni,etc.),sospendendo la macchina su appositi tasselli oppure creando delle pareti fonoassorbenti.
Però a grandi linee devo dire,per esempio,che la sospensione delle macchine dipende molto anche dalla struttura del pavimento e,di norma,queste sospensioni hanno comportato riduzioni dell’ordine di 1 o 2 dB.
Anche un buon risanamento dell’ambiente con fonoassorbenza sulle pareti,d’altra parte,pare che non riduca oltre i 4 o 5 dB quella che è la rumorosità ambientale.
Così se siamo a quota 98,per esempio,ci portiamo a quota 94.Abbiamo ridotto si la rumorosità,ma siamo in ogni caso al di là dei limiti accettabili.
Fino a quando non sapremo se il limite è 90,85,88 o 92,ogni intervento può dimostrarsi imperfetto,non escludibile la manifestazioni del morbo e quindi come tale non radicale,non appropriato ma posto in essere solo per ridurre di una certa gravità il problema,il fenomeno.
A grandi linee ho accennato a quelle che sono le problematiche di questa zona e dell’industria tessile.Ho sentito dal Presidente del Convegno,dal moderatore sen.Barbera qualche accenno molto importante e sul quale orientamento io sono allineato.
Quanto il sen.Barbera diceva in merito agli impegni degli Enti locali,per effetto del trasferimento alle Regioni ai sensi dell’art.117 della Costituzione e del decreto N.4 del 1972,che aveva dato alle Regioni una competenza specifica in ordine all’assistenza sanitaria ed ospedaliera,mi trova consenziente soprattutto per ciò che attiene all’impegno prevenzionale da non tenere distinto da quello sanitario in senso stretto.
Infatti,la normativa del 1972 con la quale veniva devoluta alla Regione la competenza in materia sanitaria non era chiara.Si diceva che le Regioni avrebbero dovuto interessarsi anche dell’ambiente di lavoro,ma che lo Stato avrebbe dovuto seguire la parte prevenzionale dell’igiene ambientale.
Due rette parallele che hanno bisogno di molti scambi per incontrarsi,di molte convergenze.
Alla luce di quanto è stato fatto dal 1972 ad oggi e di quanto a grandi linee si prevede si possa fare sulla falsariga di questo dualismo di impostazione,sorgono gravi interrogativi.
Personalmente,all’entrata in vigore della legge di trasferimento delle competenze,ero entusiasta della centralizzazione delle funzioni.La vedevo necessaria perché lo stato potesse fare proprie in modo uniforme,per esempio, le normative internazionali e quindi dare delle indicazioni omogenee e uniformi su tutto il territorio;seguire meglio l’evoluzione dell’economia nazionale,per le implicazioni di ordine economico-politico che questo problema pone.
Mi sono però reso conto successivamente che in effetti,mentre il problema continua ad esistere,si è fatto e si fa molto poco per quanto concerne gli aspetti prevenzionali sulla salute dell’individuo.E’ già da qualche anno che a Milano la Clinica del lavoro si inetressa di questi aspetti,di queste rilevazioni allargate,soggettive.Sono stati proposti dei “depistages”,degli screenings rapidi che potessero dare attraverso una rilevazione audiometrica,la situazione di ciascun esposto al rischio(nella nostra zona ce ne sono qualche migliaio).
Sarebbe quanto mai opportuno fare rapidamente questo controllo attraverso delle équipès mobili o anche,se si vuole,fisse,dislocate nei vari distretti sanitari e quindi avere un’idea del fenomeno.
Naturalmente ciò presuppone la partecipazione di un esperto (un otologo o un otorinolaringoiatra)con la collaborazione di un fonometrista e di un audiometrista.
Non necessariamente l’équipe deve essere allargata perché è possibile anche che uno stesso componente segua due aspetti della rilevazione.
Quindi fare una specie di dépistage e eventualmente approfondire quei casi che meritano una certa attenzione allargando a questi ultimi una analisi approfondita.
Ho utilizzato un po’ di tempo in più di quello che era previsto e avrei ancora qualcos’altro da aggiungere per ciò che attiene i suggerimenti da seguire nella prevenzione,ma mi riservo di approfondire tali aspetti dopo l’intervento del prof.Rossi nel corso del dibattito del pomeriggio.
Sen.Dott.Giuseppe Barbera
Ringrazio il dott.Mezzina per il suo intervento che ritengo molto sofferto in quanto mi è parso di cogliere in esso soprattutto un’estrema amarezza sia per le carenze nella parte legislativa della prevenzione sia per q uanto attiene l’intervento sanitario,tanto da porre il problema del medico “competente” o del medico “incompetente”.Amarezza che fa rilevare la mancanza delle denunce previste sia pure in modo così approssimativo dalla legge,denunce che sono comunque attentamente da valutare chiedendoci quale ne sarebbe la conseguenza.
Sarebbe l’allontanamento dal posto di lavoro senza alcuna possibilità pratica di reinserimento valido così come accade per i cosiddetti lavoratori protetti dalla legge per gli invalidi civili.
Dobbiamo quindi rilevare - non senza amarezza – che,mentre a valle legislativamente siamo molto avanti,a monte siamo notevolmente indietro.
Mi richiamo a questo proposito alla legge 382,in corso di discussione, che dovrebbe – anche nel capo della previdenza – attribuire deleghe alle Regioni.
Vorrei rilevare ancora un punto che,secondo me,ha un interesse maggiore sotto l’aspetto medico,e precisamente quello del polimorfismo della “noxa” rumore.Cioè come agiscono e come possono agire i rumori esterni continui e costanti sulle strutture anatomiche,sulle strutture fisiologiche,e come da essi ci possiamo difendere.
La parola al prof.Rossi.
LA MEDICINA DEL LAVORO PER LE IPOACUSIE E SORDITA’ DA RUMORI
Dott.Prof.Giovanni Rossi
Direttore dell’Istituto di Audiologia dell’Università degli studi di Torino
Debbo in primo luogo ringraziare gli organizzatori di questo Convegno per avermi dato la possibilità di esprimere in una sede adatta e qualificata alcuni concetti concernenti un argomento di cui tanto si parla in questo momento.
Il problema del rumore in campo industriale ha ampi risvolti nell’àmbito della medicina preventiva,ma la medicina preventiva può correre rischi non indifferenti quando i concetti sui quali è basata non rispondono a particolari requisiti scientifici.
Uno fra i rischi maggiori è appunto quello di stabilire norme e regole sulla base soltanto di ipotesi,non ancora verificate dai fatti.Ed i fatti dimostrano spesso di rispondere ad una determinata logica,diversa da quella che era stata ipotizzata.
Il problema del rumore in campo industriale e delle conseguenze che il rumore esplica a carico dell’apparato uditivo è nato in Italia molti anni or sono. Basterà al riguardo ricordare che il primo tipo di sordità professionale,quella dei calderai,fu descritto da Bernardino Ramazzini,professore a Modena ed a Padova,in quel magnifico libro[12] pubblicato intorno al 1700,che costituisce il primo trattato di igiene industriale,in rapporto ovviamente alle esigenze ed alle conoscenze del tempo in cui fu scritto.
Molti anni sono trascorsi dall’epoca di Ramazzini,la civiltà industriale si è sostituita alla società artigianale creando benessere,ma stabilendo anche un prezzo da pagare per raggiungere determinate condizioni di vita.
Di questo prezzo fa parte certamente il rumore.
Il problema dei danni uditivi ed extrauditivi del rumore deve essere preso in considerazione sotto due diversi punti di vista:tecnico e medico.
Il profilo tecnico riguarda in primo luogo la macchina che produce rumore e l’ambiente in cui essa è posta.Sull’ambiente molte ottime cose sono già state dette dall’oratore che mi ha preceduto,il dott.Mezzina:si tratta di problemi che esulano dalla mia specifica competenza.
Vorrei invece soffermarmi un attimo sul problema connesso con la riduzione di rumorosità delle macchine industriali.
In termini di energia fisica,ridurre la rumorosità di una macchina dai 100 a 95 dB non significa ottenere una riduzione del 5%,ma bensì del 216%.
Da questo semplice esempio balza evidente l’enorme difficoltà che si deve superare nel tentativo di conciliare le esigenze del rendimento della macchina con quelle dell’abbattimento della sua rumorosità.
Si tratta di un problema che ha risvolti economici che non si possono ignorare:basti pensare alla pausa di riflessione che si è imposto il Governo Federale degli USA,quando è venuto a conoscenza,attraverso un’accurata indagine della Bolt Beranek & Newmann Inc.,di quanto sarebbe costato il portare la rumorosità ambientale dagli attuali 90 dB (A) consentiti agli 85 dB (A),che costituiscono un limite di maggior sicurezza per la funzione uditiva13.
Vorrei soffermarmi invece più a lungo sugli aspetti del problema del rumore che direttamente interessano l’uomo che lavora in ambiente rumoroso.
Il DM del 18 aprile 1973 fa obbligo al medico di denunciare all’Ispettorato provinciale del lavoro ogni caso di ipoacusia professionale,senza precisare però che cosa debba intendersi per ipoacusia professionale.
A questo punto mi sembra logico ed indispensabile ricordare che la funzione uditiva è una funzione esplicata da due organi pari e simmetrici,che essa serve all’uomo come mezzo di comunicazione della voce parlata,che il rumore interessa inizialmente e soprattutto le frequenze acute del campo tonale vocale,che,come è noto,comprende le frequenze tra 500 e 4000 Hz.
Il concetto di ipoacusia professionale o ipoacusia da rumore,sulla base delle precedenti considerazioni,deve essere orientato nella ricerca del momento in cui una diminuzione di sensibilità uditiva sulle frequenze interessate per prime (4000,3000,2000 Hz) comincia a creare un ostacolo nella comprensione della voce di conversazione.Solo nel momento in cui comincia a manifestarsi questa difficoltà nella comprensione della voce di conversazione si può pensare ad una iniziale compromissione della funzione uditiva,tale da costituire uno stato di iniziale malattia che comporta l’obbligo di denuncia all’Ispettorato provinciale del lavoro.E tutto questo deve essere considerato e valutato alla luce delle particolari caratteristiche di un organo,l’orecchio,il quale svolge la sua normale attività funzionale ad un livello di intensità sonora,quale è quella della voce umana,notevolmente superiore al livello minimo di intensità alla quale egli è in grado di percepire i suoni.
Le condizioni della funzione uditiva debbono essere poi valutate secondo una particolare metodica,che risponde a ben precisi criteri scientifici.
Purtroppo in questo campo vi è una grande confusione di idee e molte cose sono state lasciate alla improvvisazione di persone spesso scarsamente competenti.Ne sono derivate situazioni spesso grottesche,che hanno creato confusione di idee e che non hanno giovato a nessuno.
Sotto questo profilo pertanto deve essere considerata degna di lode l’iniziativa recentemente assunta dal Direttore dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Torino,dott.Salerno,il quale ha incaricato una Commissione di Esperti di formulare una normativa che possa costituire un punto di riferimento in tema di ipoacusia professionale e che soprattutto indichi i criteri secondo i quali debbano essere valutate le condizioni della funzione uditiva,in rapporto ed in relazione alle nostre attuali conoscenze scientifiche.
In questa normativa sono stati affrontati,forse per la prima volta in Italia,il problema del concetto di ipoacusia professionale in rapporto all’obbligo di denuncia previsto dal DM 18 aprile 1973;il problema della particolare suscettibilità al danno uditivo da rumore presentata da una certa percentuale della popolazione ed il problema delle modalità tecniche secondo le quali deve essere eseguito l’esame audiometrico.Sono stati inoltre stabiliti i criteri che,con finalità preventiva,debbono essere seguiti per una efficace salvaguardia della funzione uditiva.
L’illustrazione particolare dei diversi problemi affrontati in questa normativa porterebbe via troppo tempo: mi sembra sufficiente averne fatto cenno,anche perché il tempo scorre veloce e dobbiamo rispettare la possibilità di svolgimento di una ampia discussione degli argomenti affrontati.
In quella sede si potranno eventualmente prendere in più approfondita considerazione alcuni aspetti di questa normativa che sono stati semplicemente accennati.
Il problema dell’ipoacusia da rumore solleva anche il problema della possibilità di una sua prevenzione a livello individuale quando i mezzi tecnici non siano in grado di abbattere la rumorosità ambientale entro i limiti compatibili con l’assoluta salvaguardia della funzione uditiva.
L’uso dei mezzi di protezione individuale può essere veramente efficace a condizione che questi mezzi siano utilizzati sempre e non saltuariamente.Io penso che molte delle difficoltà che si incontrano nel fare accettare ai lavoratori l’uso di questi mezzi di protezione acustica individuale derivino in massima parte dalla scarsa educazione ad essi impartita sul significato e sulle modalità del loro impiego.
Questo argomento meriterebbe da solo una lunga discussione: mi limiterò a dire che laddove l’impiego di questi mezzi si protezione acustica individuale è avvenuto secondi i criteri di logica progressione nel tempo, concedendo al lavoratore la possibilità di adeguarsi progressivamente alle nuove condizioni sonore,sono in gran parte cadute le pur valide,ma spesso aprioristiche preclusioni di ordine psicologico,con innegabili vantaggi per la salvaguardia della funzione uditiva.
Anche per quanto riguarda i criteri di indennizzo della ipoacusia professionale,non esiste uniformità di vedute e di indirizzi nelle modalità tecniche di valutazione del minimo indennizzabile.
Mi riferisco ovviamente ad alcune metodiche usate in rapporto agli indirizzi della persona che viene chiamata ad esprimere un giudizio in merito.
Io ho l’impressione che certe valutazioni tengano conto di situazioni di danno ormai decisamente conclamate,avendo come obiettivo la massima indennizzabilità di una situazioe ormai decisamente compromessa,ma trascurando invece quella fase iniziale in cui il danno già esiste e già raggiunge un minimo indennizzabile,se valutato sulla base della compromissione di frequenze(i 3000 Hz,ad esempio)che sono molto importanti per la comprensione della voce di conversazione,ma la cui valutazione non viene quasi mai eseguita.
Restano infine da fare alcune considerazioni sugli effetti extrauditivi del rumore.
Si tratta di un argomento ancora in fase di studio e di attenta valutazione,argomento che deve essere affrontato con estrema cautela per le difficoltà di ordine tecnico che si frappongono ad una sua valutazione scientificamente corretta.Ed il problema appare complicato dall’esistenza di una atmosfera rumorosa in cui tutti siamo immersi,non soltanto coloro che lavorano in ambiente rumorso: basti pensare al rumore esistente nella strada e nelle nostre stesse abitazioni,rumore la cui intensità raggiunge spesso livelli che si possono considerare dannosi e che viene naturalmente ad incidere su quel processo di invecchiamento fisiologico,cui l’orecchio va incontro a partire dai 30 anni.
Molti elementi e molti fattori si intrecciano sia per quanto riguarda gli effetti uditivi sia per quanto concerne gli effetti extrauditivi del rumore,tanto che ad un certo punto diventa molto difficile stabilire,ove il danno esiste,la quota che spetta unicamente al rumore industriale.
Il rumore certamente influisce su delicate funzioni dell’apparato gastrointestinale e di quello cardiocircolatorio,sulla base di rilievi che hanno carattere prevalentemente sperimentale e di laboratorio:entrare nella vera realtà di questo argomento significa affrontare un problema estremamente complesso per i numerosi elementi che in esso convergono.
PROBLEMI UMANI NELL’AMBIENTE DI LAVORO
Dr.Prof.Carmelo Buemi
Docente scuole secondarie.Specialista e Ricercatore in Psicologia.Docente di Psicologia e di Psicologia del lavoro all’Università popolare di Biella.
Premesso che questa mia breve chiacchierata,dopo le interessanti e significative relazioni che mi hanno preceduto,per la brevità che la caratterizza e per la complessità del problema stesso,non può essere per nulla esaustiva della tematica attuale relativa al mondo del lavoro nei suoi aspetti umani e sociali,né tantomeno vuole avere tale pretesa,vorrei aprire il mio intervento ponendo a questa Assemblea alcuni interrogativi che ritengo importanti e degli di essere meditati,perché dal dibattito che seguirà possano emergere più chiaramente i problemi più urgenti da analizzare in vista delle possibili ipotesi si soluzione,affinchè questo incontro di studio possa redigere un documento finale che sia stimolo per percorrere più in fretta il cammino verso la tanto auspicata epoca in cui il lavoro possa essere ridotto alla dimensione dell’uomo.
Ritengo che sia giusto chiedersi,ancora oggi nella seconda metà del XX secolo,in che misura il “fattore umano” e non solamente le innovazioni tecnologiche,e il loro rendimento immediato o supposto tale,viene preso in considerazione nell’organizzazione del lavoro.
Quali inizatiative sul piano pratico sono state realizzate in rapporto alle scoperte e alle istanze proposte dalla fisiologia del lavoro in questi ultimi anni?
Lo sviluppo dell’automazione ha favorito il rafforzarsi della tendenza a ridurre,nel complesso,la proporzione delle mansioni fisicamente gravose?
E’ proprio vero che la tensione nervosa cui vengono sottoposte alcune categorie di lavoratori,nella sorveglianza dei quadri di segnalazione dei sistemi automatici,sia da sottovalutare rispetto alla fatica puramente fisica legata al dinamismo,alla locomozione dipendenti dal lavoro manuale,o,invece,non si siano generate nuove forme di affaticamento poco conosciute e,a lungo andare,molto nocive?
1.LA SITUAZIONE ATTUALE VISTA IN PROSPETTIVA
Mi preme citare a tal proposito quanto afferma il Friedmann:
“L’alienazione operaia – egli dice – non è affatto superata;l’operaio non è salvato dalla sua condizione per il fatto che i suoi compiti cessino di essere manuali.Occorre che egli sfugga al sistema di organizzazione in cui la sua subordinazione,la sua passività,la sua non-partecipazione sono continuamente richieste e cristallizzate nella misura in cui il carattere scientifico della produzione si accentua e si realizza al di sopra della sua testa”14.
Occorre tener presente,a questo punto,che uno dei mali,non certamente l’unico,che ha afflitto il mondo del lavoro,specie nelle fabbricheè stata la pretesa scientificità del taylorismo.
Dalla teoria di Frederick Winslow Taylor,elaborata ed applicata agli inizi di questo secolo nelle industrie americane ed europee dallo stesso Taylor, spesso gratuitamente,trassero origine tutti i sistemi sorti con l’ambizione di “organizzare razionalmente o scientificamente” la produzione.
In verità,l’ingegnere ststunitense,proprio a causa della sua professione e della sua carente preparazione umanistica,ebbe scarsissimo interesse per i fattori umani che comunque restano sempre legati all’uomo anche quando questi si trova in fabbrica;anzi i fattori umani emergono e si strutturano spesso proprio nell’ambiente di lavoro;meno apparenti,prima,affiorano con violenza perché la fabbrica è ambiente scatenante e sollecitante,emotivamente ricco di stimoli.
Per Taylor invece la preoccupazione maggiore era il raggiungimento della piena efficienza dell’uomo e della macchina dal punti di vista della produzione e quindi del profitto per l’organizzazione.
I suoi metodi conseguentemente sono stati volti all’aumento del capitale e allo sfruttamento del lavoratore che,in cambio,poteva ricevere un “incentivo oppure una multa”.
Cardine del sistema erano diventati quindi l’analisi dei movimenti necessari per compiere una data operazione e il cronometraggio dei tempi impiegati.
Con l’utilizzazione più rigorosa dei tempi,mediante il perfezionamento tecnico della produzione e la ripartizione ben studiata dei salari, l’organizzazione razionale della fabbrica nel suo insieme perché fossero superati e recuperati i “tempi morti”,il sistema Taylor ha inteso ottenere dagli impianti e dalla manodopera il massimo grado dell’efficienza.
Il Taylorismo si è presentato quindi,all’inizio di questo secolo,ed ha continuato ad esserlo fino ad oggi,come la “scienza esatta” dell’ organizzazione del lavoro industriale.Tale pretesa fu continuamente avvalorata dalle dichiarazioni dei tayloristi ed in particolare,per citare un esempio,dal francese Henry Le Chatelier,secondo cui il taylorismo è una vera e propria scienza, ”un’applicazione nuova e riuscitissima del metodo scientifico”15
Fortunatamente,consentitemi l’espressione,l’applicazione e la diffusione del taylorismo nell’industria americana ed europea provocò reazioni diverse e spesso violente.
Lo stesso Taylor,negli ultimi anni della sua vita,non tardò ad accorgersi che la realtà della fabbrica era più complessa di quanto i suoi metodici calcoli avessero previsto.
Inoltre,occorre precisare che i sistemi tayloristici furono applicati su larga scala e senza la prudenza indicata dal Taylor il quale,se non altro,aveva intuito che la differenza,nel cronometraggio,tra la velocità massima di un ottimo operaio,i cui tempi per compiere una data operazione sono stati misurati,e la velocità reale di un operaio medio per compiere la stessa operazione è enorme.
“A che punto - si chiede Taylor – ci si deve fermare nello stabilire i tempi fra l’operaio ottimo e l’operaio medio?”16.
Mi pare utile citare,tanto per fare un esempio,come venne spesso applicato il taylorismo nelle industrie europee e precisamente in Francia,nelle officine Renault. Un cronometrista,abilissimo specialista,compiva tre serie di prove tecniche(utensile,posizione da prendere,velocità massima,tempo necessario alla lavorazione di un pezzo e somma da pagare)e lavorava per tre ore al ritmo così stabilito.Dopo tali fasi gli succedeva alla macchina un operaio qualsiasi che doveva continuare sullo stesso ritmo per undici ore.
“Niente di più terrificante,afferma il Lahy,di un tale sforzo così prolungato,ove si pensi che la velocità massima impressa alla macchina dal cronometrista dev’essere mantenuta non solo perché altrimenti la lavorazione sarebbe più lunga,ma perché un aiuto-cronometrista controlla,in permanenza, che montaggio e velocità soddisfino le condizioni volute.
Occorreva dunque che l’operaio dovesse adattare la sua macchina umana al ritmo della macchina meccanica per cui si sono visti degli operai,incapaci di compiere con le mani,nel tempo cronometrato,tutti i gesti necessari,valersi della testa come un terzo braccio”17.
Il Merrheim,sindacalista francese,avversario del taylorismo,scriveva infatti a tale proposito,e molto giustamente,che la “personalità.l’intelligenza.gli stessi desideri dell’operaio sono cancellati,distrutti,banditi dagli opifici e dalle fabbriche”18.
Anche il Pouget,studioso di problemi connessi al lavoro industriale, denuncia la perdita di ogni capacità di iniziativa nell’operaio trasformato e “incretinito” dal sistrma taylor che,automatizzando l’individuo,”fa di lui l’esatto e inconscio prolungamento della macchina”19.
Come si vede,gli eccessi del taylorismo e il taylorismo stesso,come nell’ esempio citato,sono stati sempre oggetto di critica serrata e attenta.
Allora,occorre chiedersi in questa sede,quante nelle nostre industrie e organizzazioni hanno accettato e accolto le critiche,giustamente fondate,al taylorismo e quante ancora oggi perseguono,oserei dire con cecità,i sistemi del Taylor?
Georges Friedmann,nella sua profonda analisi sociale del lavoro,rileva che il lavoro umano,mediante l’utilizzazione del sistema Taylor,scoprendo la lavorazione in serie,con l’impiego della catena di montaggio,con l’analisi e la riduzione dei tempi,è stato frantumato in una serie di compiti e di operazioni tipicamente parcellari,ripetitivi ed alienanti,che hanno contribuito ad accrescere a dismisura lo stress conseguente alla fatica reale in rapporto al lavoro svolto.
Nella sua opera “Le travail en miettes” egli si chiede se la frantumazione ad oltranza sia poi così razionale e positiva dal punto di vista della produttività e della produzione come pretende un certo modo di intendere l’organizzazione scientifica del lavoro.”impiegare l’uomo come macchina,ignorando e dimenticando che egli è prima di tutto un uomo con una sua personalità,una sua individualità,non risulta alla fine antieconomico?”
“A parte le soluzioni che vengono promesse oggi dall’automazione,non è possibile,sempre rispettando il principio economico,creare delle alternative alla frantumazione del lavoro?”20.
Secondo l’analisi del Friedmann,solo nella seconda metà di questo secolo comincia a delinearsi una certa tendenza,in alcune industrie moderne e avanzate,a non operare più una eccessiva divisione del lavoro.E’ questo forse l’ inizio di una svolta estremamente significativa per l’avvenire delle comunità umane.
In pratica tale svolta consiste:
1. nel trasferimento da lavoro a lavoro;
2. nella possibilità della rotazione dei posti;
3. nell’ampliamento dei compiti assegnati a ciascun lavoratore.
L’ampliamento dei compiti tende a “personalizzare” il lavoro rendendolo più vario e interessante,più responsabile per cui,acquistando significato, consente di utilizzare in maniera più completa le capacità dell’individuo.
Oggi – dice il Friedmann – si osservano due tendenze contrastanti nei sistemi di organizzazione del lavoro:
1. l’una,la tendenza dell’automazione,riduce il settore dei lavori superspecializzati;
2. l’altra,quella della tradizionale organizzazione scientifica,scompone i còmpiti globali in piccolissime unità senza fare ricorso al trasferimento,alla rotazione o all’ampliamento che richiede appunto una dimensione polivalente21.
Dove non è possibile o utile attuare l’automazione,si dovrebbero proseguire gli esperimenti per superare una eccessiva suddivisione dei compiti.
Il Friedmann vede quindi come necessarie le seguenti tre soluzioni:
1. ricomposizione nelle macchine automatiche dei lavori parcellari e ripetitivi,più propriamente,dei lavori non qualificati o semi-qualificati;
2. riqualificazione umana e tecnico-professionale come effetto dell’ automazione,preparazione dell’individuo,cioè,a còmpiti di controllo, di manutenzione,di riparazione,di programmazione e di organizzazione.
3. superamento,come metodo,della suddivisione ad oltranza mediante trasferimento.rotazione e ampliamento.
Ma – giustamente rileva il Friedmann – anche quando ci saranno trasformazioni su larga scala,e l’uomo sarà liberato dalla dura fatica del lavoro – fatto ancora lontano nel tempo! – poiché il processo di automazione e di ristrutturazione è più lento di quanto comunemente si crede,resta da considerare la vita dell’individuo nel suo complesso e quindi anche “il tempo libero”,inteso come spazio di tempo in cui la personalità di ciascuno,operando le sue scelte,tenta di esprimersi,di aprirsi,di dilatarsi.
Spesso,nel “tempo libero”,si sviluppano tendenze evasive, conformistiche,volte alla ricreazione passiva,consumistica che ha per unico scopo quello di ammazzare il tempo.Tale comportamento non è altro che il segno manifesto di una situazione di impoverimento personale e sociale22.
2. LA SITUAZIONE ATTUALE
I comportamenti testè denunciati nell’impiego del tempo libero non sono altro che la sintomatologia più evidente del processo di disgregazione della personalità dell’operaio;processo che si verifica nella fabbrica come effetto del fenomeno che oggi gli psicotecnici usano chiamare “fatica industriale”.
Tale “fatica” è strutturalmente diversa dalla fatica tradizionale che si manifestava e continua a manifestarsi con un impellente bisogno di riposo,essa è molto più sottile e profonda della fatica muscolare dianzi descritta.
La fatica industriale interessa non tanto i fasci muscolari quanto il sistema nervoso centrale e periferico,Essa è provocata dal continuo stato di tensione cui è sottoposto l’operaio e fa il suo maggior numero di vittime tra i tecnici e gli operai specializzati che controllano le macchine automatizzate e semiautomatizzate così come quelli che controllano i quadri dei circuiti automatizzati.
La difficoltà maggiore,infatti,per tali categorie di lavoratori,costretti a svolgere un lavoro ripetuto e prolungato,che compiono sempre gli stessi movimenti e le medesime operazioni, sta nel mantenere,nei confornti del loro lavoro,lo stesso ateggiamento mentale.
Tale sforzo obbliga il soggetto a sopprimere tutti gli impulsi nervosi suscettibili di entrare in conflitto con l’attività richiesta dal lavoro ripetitivo e sempre uguale a se stesso.Trattandosi quindi di operazioni meccanizzate per le quali l’operaio non prova alcun interesse,l’organismo deve contare,per difendersi,sui riflessi vlti a realizzare un costante controllo.
E’ provato infatti che l’abilità e la destrezza si mantengono solo a costo di un’attenzione volontaria,sfibrante e,pertanto,di efficacia solo provvisoria.
Successivamente,dopo un certo intervallo di tempo,l’interesse al lavoro si attenua e,con le forme più precise di noia,sorgono,nel tempo,idee ossessive, stati ansiosi e nevrotici.
Riconosciuta,ormai da tempo,almeno dagli studiosi della materia, l’ influenza globale delle funzioni psichiche che intervengono nelle operazioni di lavoro(“effetto Hawtorne” descritto da Elton Mayo)23 ,il Lipmann tentò una prima distinzione,nel comportamento dell’operaio sul posto di lavoro; distinzione che resta valida ancor oggi.
Egli,analizzando la situazione dell’operaio nel suo ambiente di lavoro, evidenzia due fattori principali come variabili estremamente importanti:
1. la capacità di lavoro che corrisponde al rendimento massimo di un operaio nelle condizioni migliori;
2. l’attitudine al lavoro che porta in sé due aspetti determinanti; l’aspetto oggettivo che dipende dal grado di preparazione ad un dato lavoro e l’aspetto soggettivo che dipende dalla volontà di lavorare.
Ora,afferma il Lipmann,l’attitudine al lavoro dipende,in ogni individuo, dalla tendenza a svolgere la propria attività di lavoro;cioè dalla sua energia impiegata in tali operazioni,ma essa è soggetta,come abbiamo visto,a diverse influenze:quali l’età,l’interesse per il lavoro,il sentirsi accettati nel gruppo, l’appartenenza ad un’organizzazione,gli incentivi finanziari,etc.[24]
Tutti aspetti psichici,questi,che condizionano direttamente il lavoratore e ne aumentano o ne diminuiscono la fatica.
Fatto è che,spesso,gli elementi di conflitto per le condizioni non soddisfacenti e per nulla gratificanti in cui il lavoro si svolge,fanno aumentare la fatica i cui effetti sono suscettibili di accumularsi.
Allora non basta più l’azione rigeneratrice del riposo notturno o diurno, non bastano più i turni alternati o la settimana corta,né il tanto desiderato ma lontano periodo di ferie.
In tali situazioni l’equilibrio neurologico non ha il tempo di ristabilirsi prima che il nuovo turno di lavoro eserciti nuovamente sul soggetto la sua azione disgregatrice.
Non essendo state recuperate le riserve di energia,si forma un residuo di effetti generali del lavoro che interessano sia gli organi nelle loro funzioni fisiologiche sia la psiche.
E’ pur vero che la giornata attuale di otto ore,contro le dodici ore o le quattoridici dell’inizio del secolo,così come la settimana corta,riducono il pericolo della fatica massiccia ad effetto immediato,ma sussistono invece,come abbiamo visto, gli effetti di una fatica residuale a lunga portata che determinano una lenta usura organica e nervosa dell’operaio ad opera del suo lavoro avente carattere sedentario,ripetitivo e avulso dal contesto generale della produzione e dell’organizzazione.
3.IPOTESI DI SOLUZIONE
Quali allora le soluzioni possibili ad una tale situazione?
Da qualche decennio,sotto la spinta dei sindacati,in primo luogo,delle forse politiche e di alcuni dirigenti e managers industriali sensibili a tali problemi,si stanno realizzando timidi tentativi di ristrutturazione aziendale secondo le tre direzioni indicate dianzi dal Friedmann,e cioè:
· diminuendo la quantità dei lavori parcellari e ripetitivi con l’introduzione di macchine automatizzate;
· rivalutando professionalmente e culturalmente gli operai (vedi il diritto allo studio con le 150 ore);
· superando la divisione parcellare del lavoro e realizzando la rotazione nel posto di lavoro.
Il Friedmann a tale proposito riporta un’esperienza francese,da lui direttemente osservata.
“I cambiamenti – egli scrive – di lavoro hanno anch’essi la loro importanza? In un biscottificio meccanizzato,a Parigi,abbiamo osservato una catena di otto operaie addette alla messa in forno e alla cernita e confezione dei biscotti.
Le prime osservano le trance di pane,scartano i pezzi piccoli,sorvegliano il nastro mobile che spesso devia e di cui devono seguire l’andatura:lavoro, questo,ripetuto,che esige però una costante attenzione,ma sufficientemente meccanizzato ed elementare da permettere alla mente di svagarsi e alle operaie di conversare.
Le seconde devono scartare i biscotti troppo bianchi o troppo bruciati e segnalare qualunque anomalia di cottura.Anche qui la personalità delle operaie è assorbita solo parzialmente dal lavoro di sorveglianza,e questo appartiene al genere di lavoro che produce il senso della monotonia.
Tuttavia,le operaie non lo considerano tale perché all’intervento di un manager,la direzione ha introdotto in queste fabbriche sistematiche modifiche di lavorazione;le operaie,in sostanza,dividono la settimana,a squadre,fra la messa al forno,il lavoro alle graticole,la pesatura e la confezione dei biscotti.
Accorgimenti di questo tipo,mediante la diretta partecipazione degli operai,sono facili da realizzarsi,ma rappresentano purtroppo assai spesso delle eccezioni perché sovente sono considerati pertubatori o troppo costosi”25.
Altre iniziative,di grande importanza,a mio parere,quale quella dell’ adozione dell’orario flessibile,sono oggi in fase di sperimentazione in alcune industrie americane.Non tutte hanno dato i risultati sperati.
Mi pare utile,a tal proposito,riferire quanto riportato nel Bollettino “Work in America” del Department of Health,USA: “Un caposquadra del turno di notte,controllando tre giovani che dovevano svolgere le pulizie e la custodia di un edificio,sede di uffici,li trovò tutti e tre che sedevano in un ufficio:uno leggeva il giornale,un altro era addormentato e il terzo era intento a studiare.
Il caposquadra esplose e dette ai tre una ammonizione scritta,che essi portarono subito al loro sindacato:”Abbiamo pulito tutti gli uffici in cinque ore invece che in otto – dichiararono – cosa vogliono di più?”.
La soluzione del sindacalista fu di suggerire ai giovanotti di “allungare” il loro lavoro per coprire le otto ore. Ora tutti sono contenti – ha riferito.
“Certamente si sbagliava.La direzione dell’azienda e il sindacato potevano essere contenti,ma i giovani devono essere rimasti irritati e frustrati”26.
Oggi noi viviamo in un’epoca in cui i miglioramenti tecnologici sia delle macchine sia dell’organizzazione del lavoro hanno costantemente aumentato la produttività del singolo operaio.Di conseguenza le iniziative per ridurre l’orario settimanale di lavoro si fondano sulla constatazione che l’uomo può produrre altrettanto e a volte molto di più in un breve spazio di tempo,purchè tale suo sforzo sia poi ricompensato con un’ampia pausa di tempo libero da usufruire a suo piacimento.
In questi anni,molti sindacati europei si stanno battendo perché possa essere raggiunta la settimana di trentadue ore lavorative per quattro giorni alla settimana.Forse si potrà raggiungere un limite intermedio e cioè la distribuzione delle trentasei-quaranta ore settimanali in quattro giorni lavorativi di nove o dieci ore.
Esperimenti in tal senso,già realizzati in molti luoghi,hanno spesso aumentato la produttività
DIBATTITO
- Intervento del Dr.Prof.Gianni Bottura
- Ufficiale sanitario del Comune di Biella e Docente di Igiene e Medicina Preventiva all’Università degli studi di Torino
Dal punto di vista del danno specifico della prevenzione integrale del danno da rumore,sono convinto che la vera prevenzione sia quella primaria, vale a dire la prevenzione senza aggettivazioni,cioè quella che veramente sta a monte del danno.
E mi riferisco soprattutto alla parte di progettazione e di costruzione degli edifici,alla parte di impiantistica sia delle macchine sia della disposizione dei locali.
Noi molto spesso – quando diamo dei pareri a livello dei progetti – ci preoccupiamo soprattutto dei diversi aspetti igienico-sanitari (approviggionamento idrico,smaltimento dei liquami,etc.,ma non ci preoccupiamo mai per quel che riguarda l’aspetto di questo inquinante che è il rumore e che è altrettanto importante quanto gli inquinanti di tipo atmosferico o di tipo idrico.
Quindi molto spesso non ci soffermiamo sui materiali isolanti,su come deve essere costruito un edificio,nel caso,per esempio,di edifici industriali,sulla ubicazione dei locali,dove devono essere posti gli stessi.
Volevo chiedere al prof.Rossi,a livello di prevenzione individuale,di quanti dB fanno diminuire il rumore questi tappi o queste cuffie:non vorrei che si trattasse dello stesso discorso sentito altre volte,vale a dire della inutilità economica della diminuzione di dB,e cioè se vale la pena fare questa spesa come è successo negli USA ove,per diminuire di pochi dB il rumore,sono stati costretti a spendere somme notevoli.
Circa la visita preventiva accennata dal dott.Mezzina,ponendosi la questione della “competenza” dei medici,credo che il DPR 303/1956,allorchè parla di medico “competente” penso che si riferisca anche ai medici dell’ Ispettorato del lavoro.
Ora non so quanti siano i medici dell’Ispettorato del lavoro,per esempio nella provincia di Vercelli o nella Regione Piemonte…(Risposta del dott. Mezzina:”Un medico ogni tre Regioni”).
Il problema è qui: in questa situazione diventa inevitabile rivolgersi sempre ed esclusivamente al medico condotto o all’Ufficiale sanitario del posto i quali certamente non sono dei competenti in materia. I medici veramente competenti dovrebbero essere quelli dell’Ispettorato del lavoro.Se mi si dice che vi è un medico ogni tre Regioni,non vedo come si possano fare bene queste visite preventive a livello individuale.Tanto più che nel campo specifico occorre un’indagine audiometrica di massa,quindi non è sufficiente solo la visita clinica ma occorrono delle visite strumentali che richiedono una certa attrezzatura.Per non parlare poi del numero dei medici.
Così come esiste una legislazione specifica su altri inquinanti (atmosferici,idrici)si auspica una legislazione univoca anche su questi tipi di inquinante,perché il danno non si verifica soltanto a livello di microclima ambientale,cioè non soltanto nell’ambiente di lavoro,ma il danno si verifica anche all’esterno della fabbrica.
In questo quadro di carenza di medici dell’Ispettorato del lavoro si è soliti fare riferimento agli Uffici del Medico provinciale,la cui organizzazione risente del problema di carenza di personale medico comune a tutti gli istituti pubblici ove gli stessi hanno molte responsabilità,ma trattamenti economici indecorosi.
Comunque,dicono che tutto si risolva con la riforma sanitaria.Nel progetto di riforma sanitaria di Vittorino Colombo(mi pare l’ultimo,ma non ne sono sicuro,in quanto ad ogni caduta di governo ne succedono di nuovi)non si parlava di Ispettorato del lavoro.
A me pare invece che tutti questi Enti devono essere inclusi nella riforma sanitaria locale con la partecipazione anche degli utenti.Quindi con la partecipazione degli operai,se parliamo di medicina del lavoro,comunque con la partecipazione dei cittadini.
Vorre,inoltre,chiedere al prof.Rossi:”La cessazione improvvisa di lavoro da un ambiente rumoroso può creare danni o meno?di quanti Db deve superare il rumore come intensità perché sia riconosciuto dannoso rispetto al rumore di fondo?esistono dei mezzi tecnici per poter distinguere la presbiacusia senile dalla ipoacusia professionale e per poter valutare il danno che può essere dato dall’uno e il danno che può essere dato dall’altro?esistono delle tabelle che nel valutare il limite di nocività del rumore tengano conto,oltre che dell’intensità del rumore stesso anche del tempo complessivo di esposizione al rumore?”.
- Replica-risposta del prof.Giovanni Rossi
Ringrazio il prof.Bottura per il suo intervento.Cercherò di contenere la mia risposta in limiti di tempo molto ristretti.
Lei mi ha posto una domanda la cui risposta comporta conoscenze di impiantistica che non si possono pretendere da un medico quale io sono.Io sono d’altra parte fautore del rispetto delle competenze specifiche.Quando io debbo affrontare problemi di ordine tecnico mi rivolgo al Politecnico di Torino o all’Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris,ove posso trovare persone altamente qualificate per affrontare problemi che esulano dalle mie specifiche competenze.
La capacità di attenuazione del rumore ambientale da parte dei mezzi di protesione acustica individuale varia da mezzo a mezzo.Ogni mezzo possiede una sua specifica curva di attenuazione e non mi è possibile ricordarle tutte a memoria.In genere l’attenuazione è maggiore per le frequenze acute,che sono quelle più dannose per la funzione uditiva,mentre viene favorita la percezione delle frequenze gravi,che sono quelle più importanti per la comprensione della voce umana.
Lei mi ha chiesto se il passaggio da un ambiente rumoroso ad un ambiente silenzioso possa provocare un trauma,uno stress:personalmente direi di no,perché non ne vedo il motivo.
Non esistono mezzi tecnici per distinguere la presbiacusia dal danno uditivo da rumore.La curva audiometrica,almeno nella fase non avanzata del danno uditivo da rumore,è diversa da quella della presbiacusia,perché presenta una risalita sulla frequenza di 8000 Hz,mentre la curva della presbiacusia tende a scendere progressivamente.
Nella stragrande maggioranza dei paesi industrializzati il Leq(cioè il ‘Livello acustico continuo equivalente’)massimo consentito per 8 ore di esposizione al giorno per 5 giorni la settimana è di 90 dB (A)27 .
La composizione spettrale del rumore deve essere presa in considerazione nella valutazione dei criteri di rischio:ciò viene fatto in tutte le più importanti normative.
· Intervento del dott.Michele Reggio
Direttore Patronato ACLI di Vercelli
Devo innanzi tutto portare il saluto del Patronato ACLI di Vercelli che vuole essere adesione e segno di amicizia dell’Istituto che qui rappresento nei confronti dell’IPAS.
Ho seguito con attenzione la relazione del dott.Mezzina a proposito della quale vorrei porre un quesito di chiarimento per quanto riguarda il problema “prevenzione”,e cioè quali sono le azioni che l’Ispettorato del lavoro pone in essere nei riguardi di quelle ditte che adoperano macchine molto vecchie che procurano una intensità di rumore,se non superiore ai 90 dB indicati dal prof. Rossi,che si avvicina molto a questa soglia fatidica.
Per quanto riguarda la presbiacusia,vorrei conoscere se nella valutazione del danno da sordità da rumore si tenga conto di correlatività al danno stesso della ipoacusia come avviene nel caso dell’asbestosi e della silicosi.Cioè ritengo che la ipoacusia,oltre al danno intrinseco della sordità stessa si debba tener conto di una eventuale correlativa nevrosi o compromissione dell’apparato digerente.
Altra considerazione che vorrei fare deriva dalla circostanza di aver avuto sotto mano perlomeno 6 o 7 audiogrammi relativi ad un unico caso e ogni audiogramma parlava un linguaggio proprio arrivando a conclusioni diverse,per cui ci siamo trovati nella effettiva impossibilità di garantire al lavoratore una tutela certa dei suoi diritti.
- Replica-risposta del dott.Giuseppe Mezzina
Il Direttore del Patronato ACLI ha chiamato in causa gli aspetti preventivi della materia che dibattiamo che – come già riferito questa mattina – sono caratterizzati da non poche difficoltà sia di ordine giuridico che tecnico che impediscono di pervenire ad una efficace soluzione del problema.
Si tratta di circoscrivere la fonte del rumore fin da quando si pone sulla carta la costruzione di una macchina e di un impianto.
Se il nostro intervento riguarda un impianto già esistente,siccome non possiamo fermare le macchine e mandare tutti a casa,non ci resta altro da fare che analizzare la mappa del rumore,valutando le fonti del rumore nell’ambiente e cercando delle soluzioni locali che possano attenuare questi fenomeni.
Da una mappa del rumore ai può,ad esempio,rilevare se una delle macchine evidenzia una particolare gravità a motivo,per esempio,della manutenzione fatta poco bene,Qualche volta si è anche adottato il criterio di isolare questa macchina in ambiente più circoscritto,limitando i suoi effetti ad un numero minore di operatori,risanando quindi da una parte l’ambiente e dall’altra isolando il danno.
Comunque,siamo sempre alla ricerca di nuove soluzioni per cercare di attenuare il più possibile il danno derivante dal rumore.
- Replica-risposta del prof.Giovanni Rossi
Il problema dell’estensione dell’indennizzo degli effetti extra-uditivi del rumore è estremamente difficile da risolvere per le ragioni esposte in precedenza.D’altra parte,non si deve dimenticare che in Italia vengono,almeno per il momento,presi in considerazione ed indennizzati soltanto i danni che il rumore esplica a carico della funzione uditiva.
A quello che ho detto in precedenza aggiungerò che nel mondo modermo i motivi di frustrazione e di alienazione sono molti: certi effetti possono quindi verificarsi in un soggetto per il rumore,ma probabilmente per fatti costituzionali si sarebbero verificati lo stesso anche senza l’esposizione prolungata al rumore industriale.
Anche se un giorno dovessero essere oggetto di indennizzo certi effetti extra-uditivi del rumore,sarà sempre molto difficile stabilire un nesso di causalità.Mentre una ipoacusia da rumore ha una sua curva audiometrica caratteristica,un’ulcera gastrica non ha fisionomia.
Circa la dispersione dei dati nell’ambito dell’esame audiometrico tonale liminare,che è quello di solito impiegato per l’indagine audiometrica,è necessario ricordare che il metodo è un metodo soggettivo,basato cioè sulla risposta che viene fornita dal soggetto.Vi sono molti elementi che possono far variare di volta in volta la più sincera delle risposte:alcuni di questi elementi dipendono dalla tecnica con cui è eseguito l’esame,altri dall’ apparecchiatura impiegata,altri ancora dal soggetto(fenomeni di stanchezza,di abitudine,di distrazione,etc.).
La variabilità della risposta normale può ritenersi contenuta in una fascia di 20 dB.
- Replica-risposta del dott.Gianfranco Andrianopoli
Vede Direttore,Lei ha posto la questione sulla indennizzabilità della sordità da rumori con riferimento alle conseguenze della presbiacusia.Quello che ha detto il prof.Rossi che,cioè,bisogna valutare caso per caso,penso sia valido anche per l’erogazione delle prestazioni INAIL.
A questo proposito deobbiamo rifarci a quanto prevede la legge.L’art.79 del Testo Unico in materia è fondamentale: esso afferma che il grado di riduzione permanente di attitudine al lavoro causato dall’infortunio o malattia professionale,quando risulti aggravato da inabilità preesistente derivante da fatti estranei al lavoro,deve essere rapportato non all’attitudine al lavoro normale ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità.
Quindi è chiaro che dobbiamo prendere in esame il momento in cui la malattia professionale si manifesta ed è allora evidente come la presbiacusia è preesistente.
· Intervento Rag.Nicola Erroi
Direttore Sede IPAS di Bergamo
E’ con estremo interesse che ho seguito le relazioni fin qui svolte,perché il tema trattato è per me di estremo interesse oltre che per i suoi aspetti generali,anche perché la presenza nella provincia di Bergamo di numerose aziende tessili,ma anche metalmeccaniche,siderurgiche etc.,rendono per me quasi quotidiana esperienza l’impatto con i problemi concernenti la tutela del lavoratore contro la sordità da rumori.
Il mio intervento è da porre in relazione con quello del dott.Andrianopoli, che ci ha illustrato la legislazione riguardante la tutela delle tecnopatie,ed è tendente a porre in risalto quelle che,a mio parere ma non solo mio,sono le maggiori carenze dell’attuale sistema assicurativo.
Il dott.Andrianopoli ci ha ricordato che con il DPR N.482 del 9 giugno 1975 sono state introdotte nel nostro sistema delle notevoli modificazioni e integrazioni alla tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura.
Il suddetto decreto che da più parti è stato presentato come un toccasana,ha,a mio parere,tradito le attese,soprattutto perché,essendo nato dopo lunga e tormentata gestazione,si pensava potesse recepire le numerose istanze espresse e dalle Magistrature di merito e dalla dottrina giuridica e medico-legale.
Bisogna purtroppo prendere atto che esso si è solo limitato ad aumentare il numero delle tecnopatie tutelate,senza invece fare alcun riferimento alle raccomandazioni della CEE del 1962 e del 1966 e senza tenere nel doveroso conto la sentenza della Corte Costituzionale 206/1974,con la quale Governo e Parlamento erano stati esplicitamente investiti del problema di addivenire ad una opportuna e urgente soluzione legislativa mista.Sicchè esso si presenta più come una sorta di rattoppo frettoloso piuttosto che come un momento di una più rapida e ampia radicale riforma del sistema.
In merito alle otopatie professionali,la nuova lista ha si recepito finalmente la dizione ipoacusia,ma non è arrivata a far proprie le “malattie da rumori,da infrasuoni,da ultrasuoni” – come del resto risulta avessero motivatamente proposto le organizzazioni sindacali – rappresentando il danno uditivo solo uno degli effetti nocivi provocati da tali agenti fisici sull’organismo.
Si è così mantenuta la rigida elencazione delle lavorazioni delle lavorazioni ritenute responsabili,elevandole dalle otto prima previste alle ventidue attuali.
Non mi sembra che tale numero possa considerarsi idoneo a tutelare la patologia in questione,perché è noto l’altissimo grado di inquinamento sonoro presente in tutti i settori industriali,dove la velocità di produzione,la fabbricazione di nuovi macchinari sempre più rumorosi e l’economia di spazi ambientali sono sempre correlati a livelli di rumorosità elevatissimi.
Anche se la rigidità della lista può sembrare temperata da quanto disposto dalla Corte Costituzionale con la propria sentenza N.205 del 1974,con la quale è sancita la tutela del lavoratore comunque addetto a mansioni indirettamente collegate alla produzione specificamente indicata,purchè svolgentesi nel medesimo ambiente lavorativo,a mio parere,meglio avrebbe fatto il legislatore se nell’indicazione delle lavorazioni avesse usato,come del resto ha fatto per la più parte delle voci,termini genereci,che in quanto tali sarebbero risultati sufficientemente ampi ed elastici.
Il dott.Andrianopoli ha parlato di elementi in ordine pratico, amministrativo,tecnico,medico-legale ostativi a simile soluzione.
Tali elementi,a mio parere,non possono rappresentare ostacoli insormontabili nel campo della patologia del lavoro e della tutela sociale,sia perché il sempre più largo intervento dello stato,diretto o tramite la fiscalizzazione degli oneri sociali,consentirebbe di superare i problemi di carattere finanziario,sia perché,nella prospettiva di attuazione del sistema di sicurezza sociale,molti dei principi informativi dell’attuale sistema assicurativo devono essere rivisti sotto nuova luce.
Del resto,come disse il prof.Introna in un convegno organizzato dal nostro Patronato sullo stesso tema oggi trattato,per la sordità da rumori non ha motivo di esistere l’argomentazione eziopatogenetica,che indusse ad elencare per alcune tecnopatie le lavorazioni ritenute responsabili.
Infatti,non si vede in quali ambienti non professionali si può rimanere esposti per molte ore al giorno e per vari anni al rumore patogeno,né esiste altra sordità che abbia le caratteristiche cliniche evolutive e audiometriche della sordità da rumori.
Pertanto,l’abolizione della rigida elencazione non muterebbe alcunchè anche per quanto attiene alle indagini che l’Istituto assicuratore svolge consultamente,prima degli accertamenti medici,in ordine all’accertamento dell’ esposizione al rischio.
Nel ricordato DPR non è stato neppure sfiorato il problema della tutela di coloro che svolgono attività professionale non manuale.
E’ noto che il Pretore di Genova con Ordinanza del 21 ottobre 1974 ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione dell’illegittimità dell’art.4 del 1° comma del Testo Unico nella parte che esclude dall’obbligo dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali coloro che non prestano attività manuale,per contrasto con gli artt.31 e 38/2 della Costituzione.
Non si può non essere d’accordo con la linea di principio del Magistrato, quando si pensa che l’azione nociva delle tecnopatie ha modo di estrinsecarsi in tutti i prestatori d’opera,manuale e non,quando siano a contatto con noxae patogene.
Ed è noto che tale evenienza è frequentissima per le otopatie,per le quali il rischio ambientale è caratteristica fondamentale,a seguito della qual cosa prestatori d’opera non manuale,pur non sovraintendendo al tipo di attività nociva,alla sua nocività si trovano esposti.operando abitualmente a suo contatto,molto spesso per necessità di economia di spazi ambientali da parte delle imprese.
Ma quello che è il più grosso limite dell’attuale sistema assicurativo è senz’altro la mancanza di norme in tema di prevenzione.
Infatti,l’attuale normativa,basata sul principio essenziale dell’indennizzo della lesione infortunistica e quindi della malattia chirurgica a traumatica,non lascia spazio a norme atte ad una idonea politica di prevenzione.
Oggi si offre al lavoratore che ha perduto in parte o totalmente la propria capacità lavorativa,un indennizzo economico quando ormai si è realizzata una irreversibile compromissione psicosomatica del lavoratore stesso.
Ma,a mio parere,un simile indennizzo non porta a risolvere il problema di fondo,cioè evitare le malattie e le sue gravissime conseguenze per il lavoratore.
In un sistema che tenga nel dovuto conto il problema della prevenzione, non poco significativo appare il momento dell’allontanamento profilattico del lavoratore dalla noxa patogena.Ma gli interventi in tal senso,che offre l’attuale normativa,sono mal coordinati e per questo inefficaci.
Basti pensare alla assurda e iniqua norma contenuta nell’art.136 del Testo Unico,vestigia dell’antica,ma purtroppo ancora presente,struttura privatistica dell’assicurazione.Con essa l’Istituto assicuratore,senza nulla offrire in cambio,pretenderebbe dal lavoratore l’abbandono dall’attività nociva,pena la riduzione della rendita al minor grado di inabilità presumibilmente raggiunto in caso di abbandono dell’attività lavorativa stessa.
Se si fa eccezione per le pneumoconiosi,per le quali sono previste norme preventive tese a far abbandonare l’attività nociva,ma pur esse stesse perfettibili,in quanto affrontano il problema nei suoi aspetti negativi,cioè la rimozione dal posto di lavoro,e non nei suoi aspetti positivi,cioè provvedendo ad un concreto effettivo reinserimento del soggetto nel mondo del lavoro,e per quanto previsto nel Capo IX del Testo Unico per i grandi invalidi del lavoro, dove però ci troviamo di fronte solo a pure indicazioni di massima,vere norme di natura prevenzionale sono sconosciute al nostro ordinamento.
Abbiamo già sentito dai relatori,dott.Mezzina e prof.Rossi,come può essere migliorata la prevenzione e sotto l’aspetto tecnico e sotto l’aspetto medico.
A mio parere,la prevenzione medica dovrà essere attuata anche allo scopo di allontanare dal lavoro nocivo il lavoratore che risulti colpito dalla tecnopatia.
E’ già infatti noto che l’ipoacusia aumenta se continua l’esposizione al rischio,mentre non progredisce dopo la cessazione dell’esposizione.Per cui è auspicabile che nell’ordinamento legislativo sia dato ampio spazio a norme che facilitino al lavoratore affetto l’abbandono della lavorazione nociva, consentendogli una adeguata ricollocazione e riqualificazione.Quindi,dato per scontato che l’allontanamento del lavoratore dalla lavorazione nociva risponde ad un fondamentale principio di tutela della salute,come bene del singolo implicante un vantaggio per la collettività,e atteso che è iniquo porre il lavoratore in una situazione di svantaggio,per di più motivata da ragioni inerenti alla produzione del benessere collettivo,si deve inderogabilmente e in via preliminare provvedere ad allontanare il lavoratore dall’attività nociva e nel contempo garantirgli la copertura del danno economico che gli può derivare da tale necessaria scelta.
Pertanto,dovrà essere allargata la concessione della rendita di passaggio a tutti quei lavoratori risultati clinicamente affetti dalla otopatia professionale e per i quali,a giudizio di una commissione medica,formata da un medico specialista in otorinolaringoiatria,da un medico del lavoro e da un medico legale,l’allontanamento dalla lavorazione nociva corrisponda ad un effettivo e necessario bisogno di ordine medico-preventivo.
La rendita dovrà essere concessa quando la nuova lavorazione risulti effettivamente ed igienicamente adeguata al quadro morboso,non dovrà essere corrisposta per periodi di tempo rigidamente delimitati,per ridurre i quali l’ Istituto assicuratore dovrà atttrezzarsi in modo da facilitare il ricollocamento,e dovrà essere di entità tale da coprire il tetto massimo della retribuzione percepita nella precedente lavorazione,integrando eventualmente l’iniziale riduzione salariale della nuova attività.
Solo a coloro che,per motivi di ordine oggettivo e soggettivo non fossero in grado di raggiungere una qualificazione e un ricollocamento,dovrà essere garantita ua adeguata rendita permanente,magari in stretta connessione con la pensione di invalidità,istituto che in tal senso potrà essere modificato,che permetta loro di abbandonare l’attività lavorativa senza grave danno psicofisico ed economico.
Di certo le proposte fin qui esposte saranno esse stesse emendabili, soprattutto se messe a confronto con quelli che sono i presupposti amministrativi,economici,finanziari e attuariali dell’attuale sistema.
Ma tutti noi,sindacati,patronati,associazioni,dovremo unire le nostre forze perché si dia,finalmente corso ad un ampio movimento di riforma che,tenendo conto dei principi ispiratori della Riforma sanitaria,i cui termini di attuazione prevedono la prevenzione della patologia del lavoro,concretizzi in un idoneo sistema assicurativo una più equa tutela del lavoratore esposto ai rischi professionali.
- Replica-risposta del dott.Gianfranco Andrianopoli
Direttore,se permette incomincio dalla questione dell’art.136 del Testo Unico.Lei l’ha citato per ultimo,ma è un aspetto veramente fondamentale.
Io stamane nella mia relazione non ho parlato di questo articolo perché lo considero come non facente più parte del nostro ordinamento giuridico.Esso infatti è all’esame della Corte Costituzionale dal 11 marzo 1975:è,a mio giudizio chiaramente anticostituzionale.
L’art.136 è una norma tassativa in quanto,se ricorrono dal punto di vista formale i presupposti,l’Istituto assicuratore è obbligato ad osservare tale norma: “…nel caso di inabilità permanente al lavoro in conseguenza di malattia professionale,se il grado di inabilità può essere ridotto con l’ abbandono definitivo o temporaneo della specie di lavorazione per effetto o nell’esercizio della quale la malattia fu contratta,e il prestatore d’opera non intende cessare dalla lavorazione,la rendita è commisurata a quel minore grado di inabilità presumibile al quale il prestatore d’opera sarebbe ridotto con l’abbandono definitivo o temporaneo della lavorazione predetta”.
Questa è una norma che si può dire che tutto tutela tranne che l’ interesse immediato del singolo.E’ pacifico che i motivi di violazione dei principi costituzionali consistono esplicitamente in questo:”…una legge che vìola i principi basilari della dignità umana…”,cioè le prime parole dell’art.3 della Costituzione.
Per quanto riguarda le altre questioni sollevate,io sono pienamente d’accordo con lei sulle carenze della legge.Desidero chiarire alcune cose. Quando lei dice che il D.L.482 non rispetta le raccomandazioni della CEE, non sono d’accordo.Infatti,a quanto mi risulta,nelle risoluzioni CEE del 1962 e del 1966 si chiedeva una lista europea delle malattie professionali,cioè anche in sede CEE si era arrivati alla determinazione che non è possibile,per le valutazioni di ordine scientifico e di ordine tecnico,arrivare alla generalizzazione delle malattie professionali,ma si formulava,nella raccomandazione del 1966,sulla base di quanto detto nella convenzione BIT del 1964,di creare una lista di malattie professionali comune in sede CEE.
Quando è uscita la convenzione,in effetti le malattie erano tutte comprese nella nostra legislazione;non lo erano le lavorazioni perché sono arrivate con parecchio ritardo anche se sono arrivate.Lo stesso per quanto riguarda il principio sancito dalla sentenza N.206 della Corte Costituzionale: questo è vero.
Se si esaminano gli atti parlamentari,si scopre che il motivo per cui il Governo non l’ha presentata al Parlamento è da ricercare dietro il paravento, invocato da più parti,della “realtà sociale”.Cioè per queste malattie non vi è ancora allo stato della dinamica quotidiana sociale per poter dire effettivamente che lo svolgimento di questa attività lavorativa è preponderante ai fini della possibile contrazione della malattia.
Per quanto riguarda i lavori non manuali,desideravo un chiarimento da lei.Chiaramente si riferisce agli impiegati.Il discorso dell’obbligo assicurativo antinfortunistico per gli impiegati è un discorso molto grosso in quanto si tratta di precorrere veramente la legislazione nel senso che,per estendere l’obbligo assicurativo alla categoria impiegatizia,dobbiamo risalire alle prime leggi che imponevano l’obbligo assicurativo:la prima legge è del 1904. Successivamente, nella dinamica dell’evoluzione della realtà sociale, l’ assicurazione antinfortunistica occupava esclusivamente degli operai in quanto gli impiegati – avendo lo stipendio fisso – erano considerati, anche con la successiva legge del 1924,collaboratori dell’imprenditore,mentre per l’operaio – essendo controparte – ogni occasione era buona per dar modo al padrone per lasciarlo a casa,per non corrispondergli il salario.
Quindi il problema grosso dell’estensione antinfortunistica al settore impiegatizio andrà risolto in un clima di avanzata coscienza sociale da parte di tutti.
NOTE
[1] La Scuola anglosassone ci ha fornito i risultati di una ricerca storico-sociologica con: Mayo,E.,The social problems of an industrial civilization, Boston, Harvard Business School, 1945.
La Scuola francese,invece,ha fornito importanti contributi,con Faverge,J.M.,Psychosociologie des accidents du travail,PUF,Paris, 1967;Faverge,J.M.-Leplat, .-Guiguet B.,L’adaptation de la machine à l’homme,PUF.Paris,1958.
[2] Cfr.Carbonaro,A.-Pagani,A.(a cura di),Sociologia indutriale e dell’organizzazione,Feltrinelli,Milano,1970.
[3]Il valore limite di esposizione sui posti di lavoro (valore MAC) indica quale concentrazione massima di una sostanza(sotto forma di gas,vapore o polvere) può essere tollerata dall’organismo nell’arco di una giornata lavorativa di 8 ore ovvero di una settimana di 42 ore presupponendo anche periodi di esposizione prolungati. Tale limite si riferisce alle persone in buone condizioni di salute.Dalla metà degli anni ‘70,negli Stati Uniti,l’ACGIH(American Conference of Governmental Industrial Hygienists)ha cominciato a pubblicare annualmente i Valori Limite di Soglia – TLV (Threshold Limit Value), per sostanze chimiche ed agenti fisici e gli IBE(Indici Biologici di Esposizione)
[4] Mi riferisco al Sistema EDV(Elektroniske Daten Verarbeitung,cioè l'elaborazione elettronica dei dati)varato all’inizio degli anni ’70.
[5]Cfr. Faverge,J.M.et alii,L’Ergonomie des processus industriels,Editions de l’Institut de Sociologie,Université Libre de Bruxelles,1966;cfr. anche Odescalchi,C.P.,Ergonomia,Etas Kompas,Milano,1972
[6] cfr. INAIL,Statistiche per la prevenzione,Roma,1974 e 1975
[7] In particolare,il prof.Mario Brancoli,Dirigente INAIL,ma anche Docente di Tecnica delle assicurazioni all’ Università di Firenze, nella Facoltà di Scienze Economiche e commerciali,Istituto di Matematica applicata alle scienze economiche e sociali ,e nel Dipartimento di Statistica,mio docente nel 1975 al Corso di aggiornamento sul CIDI tenutosi presso la Direzione Generale INAIL a Roma. Cfr.Brancoli, M.,Enqu ête statistique sur quelques maladies professionnelles.Etat des mesures et des services destinés a favoriser la readaptation dans les institutions de sécurité sociale;Berlioz,Ch.,Les relations entre les institutions de sécurité sociale et le corps medical; Mario Alberto Coppini et Franco Illuminati,Secrétariat de l'Association internationale de la securite sociale,Géneve,1968;Association internationale de la sécurité sociale,16.Assemblée generale, Leningrad,mai 1967
[8] Cfr.Symposium Datenverarbeitung bei den gewerblichen Berufsgenossenschaften,München,21-23 Oktober 1975.
[9] Grazie alla mia attività professionale all’INAIL,ho potuto approfondire questi due sistemi di rilevazione di dati,sui quali ho impostato la mia tesi di laurea mettendoli a confronto in una ricerca comparata interdisciplinare:cfr.Zamprotta, I.Une initiative à l'avant-garde dans la Communauté Européenne:la réalisation du C.I.D.I.Comparaison avec le Système E.D.V. d’Allemagne Fédérale,Ecole Supérieure de Sciences et Lettres,Bruxelles,1977
10] Cfr. Mc Gregor,G.,The human side of enterprise,McGraw Hill,N.Y.,1960,tr.it.L’aspetto umano dell’impresa,Angeli,Milano,1972; e Cfr.Friedmann,G.-Naville,P.,Traité de sociologie du travail, Librairie A.Colin,Paris,1961,tr.it.Trattato di sociologia del lavoro,Comunità, Milano,1971.
[11] Cfr. Troclet,L.E.,Législation sociale internationale,Les éditions de la Librairie encyclopédique,Bruxelles,1952-62; Troclet,L.E.,Elementi di diritto sociale europeo,Giuffrè, Milano, 1975
[12] Ramazzini,B., De morbis artificum Bernardini Ramazzini in Patavino Gymnasio practicae medicinae professoris primarii diatriba Mutinae olim edita. Nunc accedit supplementum ejusdem argumenti, ac Dissertatio de sacrarum virginum valetudine tuenda, Patavii, per Jo.Baptistam Conzattum,1713
[13] Cfr.Bolt,r.-Baranek,L.,and Newman, Inc., "Noise Barrier Design and Example Abatement Measures", Fundamentals and Abatement of Highway Traffic Noise,U.S.Department of Transportation,Federal Highway Administration,1974
[14] Cfr. Friedmann,G., Trattato di sociologia del lavoro, p,381,Comunità,Milano,1963
[15] Cfr. Le Chatelier,H.,Le Taylorisme, p.51,Dunod,Paris,1928
[16] Cfr. Taylor,F.W.,Scientific Management, p.115,New York,1916
[17] Cfr.Lahy,J.M.,Le système Taylor et la physiologie du travail professionnel ,p.169,Masson Paris;e in Journal de physiologie,Paris,1921
[18] Cfr.Merrheim,A.,La vie ouvrière,febbraio 1913,p.224,Paris
[19] Cfr.Pouget,E.,L’organisation du surmenage,p.24,Librairie des Sciences Politiques & Sociales Marcel Riviere et C.ie, Paris,1914
[20] Cfr. Friedmann,G., Il lavoro in frantumi, pp.11 e segg., Comunità, Milano,1960
[21] Cfr. Friedmann,G., op,cit. pp.61 e segg.
[22] Cfr. Friedmann,G.,op.cit. p.208
[23] Cfr. Mayo, E.,I problemi umani e socio-politici della civilta industriale ,Utet,Torino,1969
[24]Cfr.Lipmann,O.,in Physiologische Arbeitsnationalisierung,pp.21-25,Leipzig,1927; cfr.anche Lehrbuch der Arbeitswissenschaft , G.Fischer,Jena,1932
[25] Cfr. Friedmann,G., Problemi umani del macchinismo industriale,p.174, Einaudi,Torino,1975
[26] Cfr. Kranzberg,M. – Gies,J.,Breve storia del lavoro, p.186,Mondadori,Milano,1976
[27] Cfr. Lindsay,R.B.,Physical acoustics,Dowden,Hutchinson & Ross, Stroudsburg,1974
Appendice 2
Italo Zamprotta
Récents résultats de la Prévention des accidents
du travail dans le domaine de la Communauté Européenne
Edition française et italienne avec traduction et notes
L’Avenir,Bruxelles,1981
Table des matières
Présentation
Chapitre I
§ I L’Hygiène et la prévention à partir de 1980
§ II Le technicien de la sécurité
§ III Des sciences de la sécurité au travail à une sociologie des accidents du travail
Chapitre II
§ IV La prévention des risques causé par le travail dans le réalité socio-économique italienne par
rappoort aux expériences de la Communauté
§ V Cadre de la Communauté Européenne
Chapitre III
§ VI Comparaison de quatre Systèmes
§ VII Système français
§ VIII Système anglais
§ IX Système allemand-fédéral
§ X Système italien
Chapitre IV
§ XI L’hygiène et la prévention dans la Réforme
§ XII Les MAC et les TBL
§ XIII L’ homologation
§ XIV Perspectives et orientations de la Communauté
Chapitre V
§ XV Les statistiques du CIDI pour la prévention
§ XVI Distribution territoriale
§ XVII Répartition du phénomène d’après l’âge et le sexe
§ XVIII Répartition du phénomène suivant le mois,le jour et l’heure
§ XIX Localisation des lésions
§ XX Nature de la lésion
§ XXI Agent matériel
§ XXII La forme
§ XXIII Cas de surdité par le bruit
Chapitre VI
§ XXIV Le questionnaire
§ XXV Les résultats de l’enquête en pourcentages
Chapitre VII
§ XXVI Appendice législatif
Références bibliographiques
INDICE
EDIZIONE ITALIANA
Presentazione
Capitolo I
§ I L’igiene e la prevenzione dal 1980
§ II Il tecnico della sicurezza
§ III Dalle scienze della sicurezza sul lavoro a una
sociologia infortunistica del lavoro
Capitolo II
§ IV La prevenzione dei rischi da lavoro
nella realtà socio-economica italiana in rapporto
alle esperienze comunitarie
§ V Quadro Comunitario
Capitolo III
§ VI Comparazione dei quattro Sistemi
§ VII Sistema francese
§ VIII Sistema inglese
§ IX Sistema tedesco-federale
§ X Sistema italiano
Capitolo IV
§ XI L’igiene e la prevenzione nella Riforma
§ XII I MAC e i TBL
§ XIII L’ omologazione
§ XIV Prospettive e orientamenti della Comunità
Capitolo V
§ XV Le statistiche CIDI per la prevenzione
§ XVI Distribuzione territoriale
§ XVII Distribuzione del fenomeno secondo l’età e il sesso
§ XVIII Distribuzione del fenomeno secondo il mese,
il giorno e l’ora
§ XIX Sede delle lesioni
§ XX Natura della lesione
§ XXI Agente materiale
§ XXII La forma
§ XXIII La sordità da rumore
Capitolo VI
§ XXIV Il questionario
§ XXV I risultati dell’indagine col questionario
Capitolo VII
§ XXVI Appendice legislativa
Bibliografia
Note biografiche
Présentation
Cet ouvrage,à caractère d’introduction,représente le premier d’une Collection de «Cahiers sur les Sciences de la Securité au Travail»,que nous irons éditer avec la collaboration de spécialistes.
Le premier «Cahiers» est une introduction à la large problématique de la discipline «Sciences de la Sécurité au Travail»,entendue par nous de façon que pas encore a trouvé la reconnaissance et la mise en place au niveau d’études universitaires et professionnelles pour une formation et préparation appropriées des futurs cadres et directeurs d’entreprise.
Jusqu’à présent à la dispersion de compétences et d’attributions entre plusieurs Organismes,au niveau operatif,a fait pendant aussi l’éparpillement d’études et d’enseignements et de recherches,rares et insuffisantes.
Donc,les études et les enseignements de médecine du travail, hygiène industriel, psychologie du travail, sociologie industrielle, psycotechnique, ergotechnique, organisation de l’entreprise, législation du travail,et similaires,iraient opportunément harmonisés comme plan d’étude et groupés en Faculté de «Sciences de la Sécurité au travail»,et en cours de formation et de mise à jour professionnelle des opérateurs,aux différents niveaux,du secteur industriel (par exemple,les Techniciens de la sécurité,auxquels on fait allusion dans cet ouvrage).
Au moyen de ces «Cahiers» on cherchera,justement,de réaliser,au niveau scientifique et de divulgation,donc pour tous,un plain de formation culturel et professionnel de ce type,en éditant chaque fois des études, des recherches,des leçons,des séminaires dans plusieurs domaines des «Sciences de la Sécurité du travail», pour offrir à un nombreux public d’intéressés des utils outils de formation et d’information.
(Questo lavoro è catalogato sia presso la Library of Congress di Washingoton - la più importante biblioteca pubblica del mondo - sia presso la British Library di Londra, che è la seconda come quantità di opere catalogate).
=.=
Ed ora veniamo all'aggiornamento effettuato in data 1 giugno 2015 ,relativo alla tesi di mio figlio Luigi, che ha una stretta pertinenza con la sicurezza sul lavoro,giacchè tratta di ergonomia e qualità totale,due discipline fondamentali e determinanti per ottenere una vera sicurezza sul lavoro,ma in molti ignorano sia l'ergonomia sia la qualità totale,ma procedono imperterriti come consulenti e tecnici di sicurezza del lavoro.Nel paese degli amministratori e politici ciarlatani è possibile questo ed altro!
L'Ergonomia è una disciplina che mi ha sempre appassionato,perchè coniuga i risultati di altre diverse discipline per metterle al servizio dell'uomo, finalizzate a umanizzare l'ambiente di lavoro,cioè renderlo a misura d’uomo. Per questo motivo già per la stesura della mia tesi di laurea nel 1976 utilizzai concetti inferiti da testi scientifici che trattavano questi argomenti. Allora si trattava di argomenti tabù per il 99% degli studiosi, e anche dopo di allora.
Infatti, l’Ergonomia è stata sempre vista come il fumo negli occhi dagli imprenditori,poco propensi a curare la vivibilità dell’ambiente di lavoro. E gli studiosi si conformavano. Come dire?:”Attacca l’asino dove vuole il padrone!”.Alla fine degli anni ’70 mi iscrissi alla SIE-Società Italiana di Ergonomia. Inserii già allora, negli anni ’70, l’Ergonomia tra le materie dei sorsi dell’Università popolare e tra i corsisti poi scelsi colui che, in seguito, insegnò questa materia all’UP, iscrivendosi anche alla SIE, il prof.Renzo Brolis, che insegnava nei corsi di formazione professionale dei Salesiani, al CNOS-FAP di Vigliano Biellese. Il Brolis,carissimo amico, oltre che valente docente, compilò anche delle dispense di Ergonomia e pubblicò dei testi di Sicurezza dell’ambiente di lavoro, utilizzando anche le “Statistiche per la prevenzione”, editate annualmente dall’INAIL fin dal 1976, da me già utilizzate nei corsi di Scienze della Sicurezza del lavoro.
Lettera inviatami dal Presidente della SIE, prof.Antonio Grieco il 24 settembre 1987
1993: sabato 23 ottobre Luigi discusse la tesi di Maîtrise en Sciences appliquées-Informatique ("La qualité comme philosophie de la production. Interaction avec l'ergonomie et perspectives futures"), presso l' Institut d'Etudes Supérieures - Bruxelles, relatore il
Prof. Dr.Francis Dessart, PhD, DD
prof.Francis Dessart, Rettore dell'Istituto, ricevendo il plauso della Commissione con la valutazione "La Plus Grande Distinction" (equivalente a 110/110 e lode).Questa tesi, inviata in duplice copia alla The International University Foundation (Independence, MO, USA, http://www.tiuonline.com/), fu recensita e pubblicata dalla
TIU Press (la Casa editrice di quella Università) con
ISBN 0-89698-452-9, e da questa presentata alla
United States Library of Congress di Washington che la catalogò col
N. 94-60267.
In quegli anni questa Università statunitense aveva importanti scambi culturali con l'Europa, l'Africa e i Paesi dell'Estremo Oriente (ad esempio,nel 1988 mise a disposizione circa 500 assegni di studio per laureandi e laureati per borse di studio e stages (vedi Repubblica, 29 gennaio 1988, p.22).
La tesi è citata anche nella Bibliografia della voce Ergonomia e nella Bibliografia della voce Qualità totale di Wikipedia, ma anche nella voce Ergonomia di Wikipedia spagnola, nella voce Ergonomie Deutsch (Literatur) di Wikipedia tedesca, e nelle voci Toyota Production System e Human Factors and Ergonomics di Wikipedia angloamericano.
Il titolo accademico belga è stato riconosciuto in Francia come Maîtrise IUP MIAGE dalla Université Paris XII-Vale de Marne di Créteil, che poi è stato riconosiuta in Italia come Laurea magistrale in Scienze dell'Informazione con DPCM-Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
La tesi di laurea, consultabile presso la Biblioteca e Centro di Documentazione della Camera del lavoro di Biella e presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino, è citata nella Bibliografia delle seguenti voci dell'Enciclopedia libera Wikipedia: Ergonomia (italiano), Human Factors and Ergonomics (inglese), Ergonomìa (spagnolo); e nelle voci: Qualità totale, Toyota Production System.
Questa tesi, infine, è stata referenziata nella Bibliografia del programma della disciplina di Ergonomia-Diseñ o de puestos de Trabajo della Facultad de Ingenieria industrial de la Escuela Colombiana de Ingenieria "Julio Garavito" di Bogotà in Colombia.
La bibliografia consa di 9 titoli, di cui 8 in lingua spagnola. L'unico titolo,estraneo alla lingua spagnola, è quello della tesi di Luigi (in italiano e francese). Trattasi di un riconoscimento di cui bisogna andare orgogliosi (vedi Bibliografia qui di seguito e anche sul web sub voce "Laboratorio de Ergonomia y condiciones de trabajo").
Il Dr.John W.Johnston,PhD.Ed.D.,DD.,Chancellor della TIU
(A proposito della TIU-The International University va precisato che trattasi di una Istituzione universitaria statunitense che mette a disposizione degli studenti(anche stranieri)borse di studio(cfr. "Dove cercare le borse di studio",in La Repubblica,p.22,venerdì 29 gennaio 1988).
Un profilo biografico e professionale di Luigi Zamprotta è delineato sul web nel sito francese offerto a tutti gli ex allievi di scuole e università francesi. Questo sito riporta anche L'arbre des Zamprotta,cioè l'albero genealogico della Famiglia Zambrotta-Zamprotta dal 1228 ad oggi, comprensivo di fotografie. Albero elaborato dopo le ricerche storico-genealogiche di Italo Zamprotta. Per la consultazione la voce da richiamare è Luigi Zamprotta, Université Paris 12.
Créteil, 30 marzo 2006 - Luigi col prof.Philippe Adair,Direttore ISIAG IUP MIAGE,Universitè Paris XII - Val de Marne
giorno consegna Maitrise all'Université Paris XII - Val de Marne (1 anno dopo il conseguimento)
Foto di Lyudmyla Hadz - Copyright © Italo Zamprotta 2009 - All rights reserved
Una visione in primo piano della Facoltà di Scienze economiche e gestionali dell'Université Paris XII-Val de Marne(ora UPEC),in cui opera l'ESIAG(ex ISIAG)
Segue un estratto della tesi:
INSTITUT D’ETUDES SUPÉRIEURES L’AVENIR
BRUXELLES
DSA - DÉPARTEMENT DE SCIENCES APPLIQUÉES
Maîtrise d’ Informatique
Mémoire de Maîtrise
LA QUALITÉ COMME PHILOSOPHIE DE LA PRODUCTION
INTERACTION AVEC L’ ERGONOMIE ET PERSPECTIVES FUTURES
Directeur de Maîtrise
Dr. Prof. Francis Dessart
Matricule N° 6071
Luigi Zamprotta
Année universitaire 1992/93
Published by TIU Press
(Independence, Missouri, USA)
ISBN 0-89698-452-9
LC Control Number 94060267
by Library of Congress (Washington, D.C. – USA)
1994, June
CONDENSÉ
Ce travail est subdivisé en trois parties. Dans la première partie il s'agit de l' application de la qualité dans les Pays occidentaux (Etats Unis et Europe) et d' une comparation avec la situation très avancée de cette application de la qualité au Japon.
D'abord les critiques de l'auteur ont été adressées à la situation industrielle italienne, où est evidente l'inaptitude de la classe dirigeante; le système scolaire n'est pas adapté aux temps et la myopie de groupes industriels provoque un graduel recul du niveau technique et empéche, de fait, l'application des principes de la Total Quality
La FIAT de Turin est l'unique voix qui va contre-courant au comportament tenu jusqu'à présent par notre Pays, et, avant que ces idées deviennent partie intégrante de la culture des ouvriers, des techniciens et des employes administratifs (nouvelle "forma mentis"), sûrement va s'écouler beaucoup de temps.
Au niveau international le panorama n'est pas différent:aux Etats Unis la stratégie du profìt à court terme conditionne énormément l'application des principes de la TQC (Total Quality Control), il ne permet pas de placements à longue période (nécessaires pour n'importe quel programme de TQC) et leurs groupes financiers tendent à subventionner plus le tertiaire à perte que l'industrie méme, au contraire des Japonais (fìnancierment plus puissants) qui pointent sur la stratégie du "superindustrialisme" dont nous verrons les effects au cours du prochaine siècle.
En analysant ultérieurment le cadre qui se presente en Occident, on note comme on s'est équivoqué sur les principes de la TQC.
En effet, la création des cercles de la qualité, du contrôle de la qualité et d'autres initiatives analogues n'a fait que faire perdre de vue la mise à la poste originaire que les Japonais ont donne à leur "philosophie".
En effet, les approches qui se sont énsuivrés en Europe et en USA ont été de differents types, comme de different type ont été les résultats.
Ces approches se peuvent ainsi se classer:
- approches génériques;
- approches trop orientées vers la base;
- approches non fìnalisées;
- approches non achevées dans la gestion;
- approches basées exclusivement sur les groupes d' amélioration.
Ces approches se placent chronologiquement dans la première moitié des ans '80 en Europe, à partir du 1976 jusqu'au 1984 en USA.
Ensuite, après la deuxième moitié des ans '80 font leur apparition en Europe les premières applications, à grande échelle, de tels principes: la Total Industrial Engineering, la Total Productive Maintenance et le Just in Time en sont les exemples les plus concrets qui se réncontrent dans l'organisation de la production de la Michelin italienne.Parmi les industries qui ont utilisé ces principes, figure aussi la FIAT Auto, qui utilise le Systéme CEDAC.
Après ce panorama, l'attention se focalise sur le Pays où est née la qualité: le Japon.
Pour comprendre la cause de cette innovation il faut revenir en arrière dans le temps jusqu' à l'an 1945.
Après la guerre le Japon était un Pays complètement détruit par le deuxième conflit universel: la pauvreté de matières premières et la conformation orographique, qui ne permet pas d'avoir une agriculture autosuffisante, auraient prèjugé fortement la possibilité de développement, si non directement la survivence économique du Pays.
Ensuite les nécessités pressantes déterminèrent la recherche de stratégies industrielles et de marché qui pourraient sembler très audacieuses pour la période historique dont on parle.
Le première démarche visait au développement de l'economie d'exportation, l'idée du Japon=industrie fut aussitôt assimilé: si d'une partie entrent les matières brutes et de l'autre sortent les ouvrages, et le facturat de vente sera supérieur au facturat d'achat, le Pays pourra se garantir un avenir prospère.
En cette phase de la renaissance japonaise, on chercha surtout une stratégie qui puisse garantir la sûreté à l'occupation. L'exploration d'autres réalités industrielles (telle que l’americaine, par exemple) ne donna pas les résultats qu'ils cherchaient: le profit aussitôt était la principale préoccupation des industries USA.
Cette recherche bientôt deçue avait en outre mis en évidence la conviction profonde des Américaines que le Taylorisme devait être l'unique voie à suivre dans l'organisation de l'entreprise.Tout cela finit par pousser les Japonais à chercher d'autres solutions.
La première fut celle de mettre en valeur le client.
En effet, sans le client l'industrie n'existe pas et c'est le client qui determine la vie et la mort d'une entreprise: avoir un nouveau client coûte six fois plus que garder un vieux client. Le degré de satisfaction du client pour le produit marque la fidelité à l'entreprise, et sera considéré une vraie récompense pour l'entreprise même.
La qualité devient ensuite la priorité primaire pour l'entreprise et la directe conséquence nous la trouvons dans l' approche KAIZEN (mot japonais).
Grâce a telle approche on applique la stratéie de l'amélioration continuelle, élaborée par Juran (un consultant japonais pris en considération par les Occidentaux) qui a comme but l’ amélioration des processus industriels.
Pour la première fois, on prend en sérieuse considération l'entraînement des ouvriers à tous les niveaux dans le processus productif: dejà depuis la fin des ans '50, au Japon l'instruction professionnelle devient ainsi partie intégrante de l'idée de production, tandis qu'en Europe et aux Etats Unis on était encore loin de cette réalité.
On remarque aussi la grande influence d'un des "pères" de la Total Quality, le Prof. Ishikawa,[1] qui affirmait:"La qualité totale commence avec l'instruction et finit par l’instruction".
Dans les ans '60 et 70 telles applications s’affinent et commence à s'affirmer le "contrÔ le de processus".
Au cours des ans '80 l'avantage accumulé se révèle ensuite enorme: pour projecter et mettre en production un autovéhicule les Japonais emploient 30 mois et l'Occident au moins 50-60!
L'organisation de la production et du marketing japonais devient toujours plus assimilable a l'idée de la chaîne de Michael Porter[2] : "Une entreprise même parfaite dedans, mais avec des fournisseurs et des clients médiocres, est destinée à faire faillite, pendant qu'une industrie pas même parfaite pas, mais avec des fournisseurs et des client excellents, réussit à prospérer".
En ce vaste contexte se insère le système de production TOYOTA, qui réprésente l'évolution de l'idée de qualité.
Le père de ce système de production est Shigeo Shingo[3] , depuis les ans '50, qui a donné l'impulsion à l'étude de faisableté d'un système divers de production.
Avant tout il trouva dans les gaspillages l'ennemi principal des processus industriels et elabora des méthodes d'inspection et de prévention des défauts qui rendent presque superflus les contrÔles du produit fini.
Pour cela l'inspection en séquence, l'autoinspection et les méthodes POKA-YOKE4viennent à la rencontre de telles exigences.
Elle développe et perfectionne le KANBAN[4] comme évolution du "système supermarché": le résultat final est le contrôle total du flux des processus des materiaux à mont et à vallèe de la production.
Une ultérieure approche, réalisée grâce à des technologies informatiques, c'est celle relative au MRP (Material Requirement Planning).
Par ces moyens on a ensuite réalisé un contrôle total, en même temps, de tous les processus, ayant aussi la possibilité de pouvoir intervenir sur la gestion des materiaux et des commandes dans la manière plus convenable a l'economie de l' entreprise.
A' conclusion de cela reste à citer, comme récemment, le Japan vise au système "TRANSPLAN", qui permettra le création, dans le prochain avenir, de modèles d' automobiles personalisés dans la forme et dans les dimensions, des composants standards, le tout coordonné par l'ordinateur de l'entreprise concessionaire qui donnera les ordres spécifiques pour assembler la usine la plus proche à ses coordonnées.
Aussi même dans la première partie de son exposé l’auteur a revelé l'importance des techonologies CAO/CAM et leur influence sur l'organisation du project et de la production.
Le deuxième chapitre est dédié a l'ergonomie, inconnue à la plupart du monde, bien que cette discipline ait une pénétration interdisciplinaire dans tous les domaines: du project, de la production, jusqu'à la création de lois qui en contemplent les principes (par exemple, la législation des accidents du travaii).
Chronologiquement la naissance officielle de cette discipline date de la fin du siècle passé avec les études relatives à la médecine du travail.
Au début du siècle, et plus précisement dans les ans '20 et '30, elle est considerée et evaluée à l' intérieur des études sur la "fatigue industrielle".
En réalité, seulement à cause de la guerre froide, elle revient à intéresser les hommes d' étude et acquérit un caractère toujours plus scientifìque.
En effet, dans les années ‘50, les études économiques sont toujours plus appliquées à l'industrie de la guerre, qui en font une utilisation spécifìque dans la réalisation de systèmes d'armes simples à l'usage et qui provoque moins de difficultés possibles à l'opérateur chargé de l'usage.
L’ usage de telle discipline est ultérieurement affiné pour réduir le stress dans l' instruction des soldats (surtout en aéronautique).
Successivement on en ferait un usage dans les missions de l'espace, dans la technologie aéronautique civile, dans les industries des automobiles et dans les mines.
Dans les années ‘60 on verrà, aussi, la naissance de nombreuses associations qui s'occupent d'ergonomie à des niveaux scientifiques élevés.
En Italie on registre la naissance de la SIE (Società Italiana di Ergonomia), dans l'an 1961.
La situation actuelle enregistre malheuresement un arrêt pour l'application de ces principes à cause de la persistente crise de structure du système entier.
Au contraire, on note toutefois comme certains groupes, par exemple la FIAT de Turin, se meuvent pour proposer quelques idées relatives aux règles ergonomiqués appliquées au project de détails d'intérieur de l'automobile et à la recherche des matériaux utilisés.
Dans le paragraphe suivant l'auteur met en évidence les applications au secteur de recherche et de project de ALFA ROMEO, où au début des années '80 il y a un mariage parmi le project, la recherche, et l'application de l'ergonomie et des technologies CAO.
Au delà de ceci l'auteur analyse de quelle façon l'ergonomie aurait pénetré l' informatique dans le développement et la production des systèmes et programmes user-friendly.
L'évolution des interfaces usantes (comme le cas du Windows) ou des systèmes (comme OS/2 IBM) a amélioré les conditions de travaii des opérateurs de ces technologies informatiques.
On rappelle aussi que les "nouvelles" technologies multimédiales sont à mesure de changer l'informatique et comme parallelement on développe des hardware toujours plus puissants (Alpha de la Digital, par exemple) qui dans le tour de peu d'ans dépasseront l'idée d'informatique que nous avons aujourd'hui.
Dans le dernier paragraphe du deuxième chapitre, l'auteur prend en considération un secteur inconnu par la plupart, c'est-à-dire les effects des ondes électromagnétiques dans le contexte homme-machine-milieu.
Examinés les principaux moyens de transmission des informations, on prouve que pour la plupart des cas il s'agit d'ondes électromagnétiques utilisées comme véhicule pour transmettre les informations.
Elles sont des ondes électromagnétiques qui transportent énergie.
A' ce point l'auteur examine les principaux problèmes relatifs à leur absorbement et à l'imparfaite connaissance de leurs effects, après une longue pèriode, sur le corps humain.
Ensuite l'auteur vise ses critiques à la diffusion de ces ondes (le type d' antenne) et aux puissances entrainées, qui, en certains cas (repétiteurs télévisés), rejoignent des valeurs très élevées (aussi du Kw).
Dans le troisième et dernier chapitre l' auteur tire ses conclusions.
La question qui se pose obligatoirement à la fin de l'exposé est la suivante: "Peut-on améliorer le produit sans nuire au milieu?".
A' cette question l'auteur répond en manière positive.
En effet, déjà en Allemagne (Opel, Wolkswagen) et en Italie (FIAT) on poursuit des plans de recyclage du fer et des matières plastiques qui dérivent de la démolition de vieilles automobiles réutilisées aussi pour la construction des nouvelles.
On relève que comme desormais même les plastiques sont recyclées, tenu compte de leur non bio-dégradabilité, en réduisant au minimum le danger au milieu.
En révenant au sujet des ondes électromagnétiques, l'auteur précise que par de basses puissances et des antennes fortement directives (antennes paraboliques) on peut répandre un signal télévisé sur tout le continent européen sans faire recours à Kw de puissance.
En outre, il précise que le système de transmission du téléphone portable se révèle dangereux et on devrait donc opérer altemativement pour en exécuter le project et la production sans nuire aux utilisateurs.
[1] Kaoru Ishikawa (1915-1989), ingénieur et professeur japonais. De 1949 il a pris part à la promotione du contrôle qualité. De 1952 il fut membre de l’ISO (Intrnational Standard Organization) et aussi Président de l’Institut de Technologie Musashi au Japon.
[2] Américain, né le 1947. Professeur à la Business School de l’Université d’Harward, où a dirigé l’Institute for Strategy and Competitiveness. Il est un des plus grands spécialistes de la théorie de la stratégie du managément.
[3] Ingénieur japonais (1909-1990). Maître japonais du kanban (système de productivité), appliqué à la Toyota avec le SMED (Single Minute Exchange of Die, lettéralement "changement de talon en un seul minute”). Il a contribué au succès du JIT (Just in Time) Production et des mèthodes Poka-Yoke.
[4] Kanban, mot japonais signifiant fiche.
SOMMARIO
La tesi è stata ripartita in tre capitoli.
Nel primo capitolo, che consta di quattro paragrafi, è trattata la qualità nei suoi aspetti principali:
- 1.sviluppo storico del concetto;
- 2.sua evoluzione nella Total Quality;
- 3.Come si è evoluta l’applicazione della qualità nei sistemi di produzione occidentale;
- 4.in quale misura essa ispira e condiziona il management dei paesi occidentali.
Inoltre, viene approfondito il discorso della penetrazione sia nelle fabbriche sia negli uffici dell’automazione industriale e dell’informatica, che hanno agevolato il miglioramento del processo di organizzazione del
lavoro e, di conseguenza, dei prodotti, fornendo strumenti molto raffinati
e sofisticati per la realizzazione di standard superiori di qualità.
Un particolare momento della tesi è rappresentato dalla trattazione di modelli di produzione giapponesi, paese dove la qualità è un obbligo e non un optional, e in particolare del modello di produzione TOYOTA, delineato egregiamente da Shigeo Shingo [36].
Vengono in tal modo messe in evidenza le differenze notevoli e il divario esistente tra Giapponesi e Occidentali, sia sul concetto di “qualità” sia di Total Quality, sia di come introdurre questi concetti.
Infatti, mentre per i Giapponesi si tratta di una vera e propria filosofia di lavoro, entrata a far parte della “forma mentis” di qualsiasi categoria di lavoratori, in Occidente è ancora qualcosa di metafisico, di trascendentale, di privilegio di alcuni, sconosciuto ai più, non insegnato nelle scuole e nelle aziende, e su cui disquisiscono coloro che si ritengono i depositari del sapere aziendale e del management pubblico e privato.
L’attuale crisi del sistema economico e produttivo occidentale sta puntualmente a dimostrare le errate valutazioni di costoro che non disattendono solo l’obbiettivo della Total Quality ma addirittura le più elementari regole di politica economica e industriale, sacrificate ai loro tornaconti personali e lobbistici.
Nel secondo capitolo, suddiviso in tre paragrafi, viene affrontato il delicato discorso dell’ergonomia, questa sconosciuta, di cui ormai si parla dal lontano 1949, data ufficiale di nascita di questa scienza interdisciplinare, che si avvale dei contributi continui che le vengono dalle più svariate discipline (ingegneria, architettura, medicina del lavoro, igiene industriale, ergotecnica, sicurezza ambientale e del lavoro,
psicologia del lavoro, sociologia delle organizzazioni, organizzazione aziendale, office automation, ecc.).
Dopo la trattazione dei concetti fondamentali dell’ergonomia e della loro evoluzione fini agli anni ’90, vengono passati in rassegna i suoi principali settori di applicazione, in particolare quello del software informatico e dell’industria automobilistica, di cui si offre una notevole analisi critica.
La parte principale di questa è rappresentata da un settore abbastanza negletto degli studi ergonomici e di sicurezza ambientale: quello degli effetti in un ambiente organizzato e sul corpo umano delle onde elettromagnetiche e le loro implicazioni sul contesto uomo- macchina- ambiente.
E’ a questo punto, nel terzo ed ultimo capitolo, che l’autore si pone la domanda cruciale della sua tesi: “come si può migliorare il prodotto in qualità senza danneggiare l’uomo e l’ambiente?”
A questa domanda l’autore risponde con le sue personali conclusioni e considerazioni, che possono qualificarsi anche con prospettive di studio, ricerca e applicazioni per il prossimo futuro e che possiamo così sintetizzare: si potrebbe infatti gestire un sistema di riciclaggio dei materiali riciclabili (vetro, carta, metalli) e non riciclabili (plastica), cercando di limitarne l’impatto ambientale e altresì limitandone sia l’incremento che l’uso e la diffusione nell’ambiente (plastiche biodegradabili); finanziare e agevolare tra l’altro, studi e ricerche sulla prevenzione dai rischi di emissioni di radiofrequenze.
"The Quality as a production’s philosophy.
Interaction with the ergonomics and future prospects"
SUMMARY
The thesis is divided into three chapters. In the first chapter, with four paragraphs, quality is seen in its main aspects: the historical development of the idea and its evolution to become Total Quality; how the application of quality has developed in the Western production systems and how it motivates and conditions the management in Western countries businesses.
Besides that, the presence of industrial automation and informatics both in factories and in offices is discussed in detail, likevise their improvement on the work organization and, consequently, on its production to provide very refined and sophisticated instruments that will help reaching better quality standards.
One section of the thesis is about japanese production modele: in Japan, in fact, quality is compulsory and not optional, like in the Toyota production, well defined by Shigeo Shingo1 .
Difference between Japan and Western countries are therefore well stressed, both concerning Quality and Total Quality as well as the way to introduce these concepts. While for the Japanese, it is an aspect of work philosophy which belongs to the forma mentis of every working group in the west, it is still something metaphisical, trascendental, a privilege for few people, not known by the majority, not taught in schools and firms, a topic discussed by people who consider themselves as the source of business knowledge and of public and private management.
Today's crisis in Western production and in the economic system clearly shows the wrong judgement of these people who, not only, are not concerned total quality, but not even with the most basic rules of economic and industrial politics, which are sacrificed to their personal gain.
In the second chapter, divided into three paragraphs, ergonomics and its difficult aspects is discussed. Since 1949, its official starting date, this unknown inter- disciplinary science has been talked about.
Ergonomics is continuously helped by various other disciplines (industrial medecine and hygiene, engineering, architecture, environmental and working security, work psychology, business sociology, office automation, information technology, etc.).
After dealing with the fundamental aspects of ergonomics and their evolution up to the 90s, the main ways of its application, particularly in informatics software and in car industry, are discussed and critically analyzed.2
The main section of this research concerns a rather neglected aspect of ergonomic studies and environmental security: the effects of electromagnetics waves on an organized environment and on the human body and their implication on the whole ormed by man-machine- environment.3
At this point, in the third and last chapter, the author asks himself the main question of his thesis: "How can we improve the quality of a production without damaging man and environment?".
The author answers with his personal remarks and conclusions, that can be also seen as studies and application for the near future and can thus be summarize: we could run a system of recycling recyclable materials like glass, paper and metals, and non-recyclable ones like plastic, trying to limit their impact on the environment.
We could also try to limit their expansion and usage in the environment, preferring plastic deconposable into organic substance and help, also financially, the development of studies and researches on preventing risks of radiofrequencies.
[1] Cfr.Shigeo Shingo, Study of Toyota production system from industrial engineering viewpoint, 1985.
[2] Cfr. UCIMU. High performance spark ignition engines for passenger cars, International Seminar,
Torino, 1986, November.
[3] Cfr. Biological effects and exposure criteria for radio frequency electromagnetics fields,
National Council in radiation protection and measurement, Report n.86, Bethesda, MD, 1986, Avril.
BIBLIOGRAFIA – BIBLIOGRAPHIE –BIBLIOGRAPHY
A.I.P.I.
1986
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Radiazioni elettromagnetiche negli impianti di lavoro:
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Eidologia medica
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Sicurezza sul lavoro. Normativa europea.
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Total Quality e Just in Time di Ginguino G., in Introduzione culturale allo studio delle nuove tecnologie, Giovannacci, Biella
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Zamprotta, L.
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Sono state inoltre consultate le altre seguenti opere:
-
Enciclopedia dell’ Informatica, Etas Libri, Milano, 1986
-
Enciclopedia dell’ Economia, Garzanti, 1992
-
Dizionario di Fisica, Rizzoli, Milano, 1988
-
Dizionario di Informatica, Mondadori, Milano, 1985
-
Dizionario di Sociologia di Luciano Gallino, UTET, Torino, 1978
-
Dizionario enciclopedico dei termini scientifici, Rizzoli, Milano, 1990
-
Le annate della rivista scientifica AUTOMAZIONE OGGI, Gruppo Ed.Jackson, dal 1984 al 1993
-
Le annate della rivista scientifica COMPUTERGRAFICA ED APPLICAZIONI e
-
COMPUTERGRAFICA E MULTIMEDIA, Gruppo Ed.Jackson, Milano (fino al 31 dicembre 1991, data di cessazione della pubblicazione)
-
Le annate della rivista UFFICO STILE, PEG, Milano, dal 1988 al 1993
-
Le annate della rivista SICUREZZA E PREVENZIONE, PEG, Milano, dal 1990 al 1993
-
le annate della rivista scientifica ELETTRONICA E TELECOMUNICAZIONI
Nuova Eri Edizioni RAI, Torino dal 1990 al 1993.
Segue la comunicazione inviata via fax il 28 giugno 1994 dalla TIU-The International University Foundation:
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